Una grande compagnia di balletto ha sempre una stella che sopra tutti la rappresenti. Mizuka Ueno è l’immagine del Tokyo Ballet: diva in Giappone idolatrata dai fans, riconosciuta all’estero per la carriera internazionale, è ballerina dalla fisionomia occidentale con uno squisito tratto di grazia orientale. Incontriamo Mizuka (l’accento è sulla “i”) al Teatro alla Scala, dove è in tour con la sua compagnia, per un’intervista che ne rivela l’animo gentile e il ferreo temperamento.
Mizuka, come ha scoperto il balletto?
Da bambina: avevo 5 anni quando alla scuola materna partecipai a un saggio danzato. «Bravissima!» mi disse una signora «dovresti frequentare una scuola di balletto». Provai, nella mia città, Kanagawa: il primo giorno, ancora lo ricordo, la maestra si meravigliò per come naturalmente riuscivo a portare alte le gambe. In seguito passai alla Scuola dell’Asami Maki Ballet, a Tokyo, dove studiai fino all’età di 15 anni.
Nel suo curriculum c’è anche la formazione in Europa. Ci racconta?
Al Prix de Lausanne vinsi una borsa di studio per l’Académie de danse Princesse Grace di Monaco: un anno, poi rinnovato in due. Fondamentale l’insegnamento della direttrice Marika Besobrasova, alla quale mi legò un rapporto filiale. Non dimenticherò come si prese cura di me, adolescente, che soffrivo per la lontananza dal mio paese e le tante difficoltà. Cosa mi insegnò soprattutto? A capire e applicare un concetto fondamentale del balletto: l’en dehors, ostico per noi giapponesi data la nostra particolare conformazione fisica.
Poi però non restò in Europa: perché?
All’esame di diploma Jean-Christophe Maillot mi offrì un contratto per i Ballets di Monte-Carlo pronosticando che sarei diventata una grande stella. Mentre la signora Besobrasova piangeva perché sapeva che volevo tornare in Giappone. Una decisione mai rimpianta: volevo essere come la nostra grande ballerina Yoko Morishita, che restò in Giappone danzando all’estero da Guest. Per me è importante contribuire con il mio esempio ad accrescere la cultura del balletto nel mio paese: molto è cambiato negli ultimi anni ma molto resta ancora da fare.
E come andò al ritorno?
Tornai all’Asami Maki Ballet, alla cui scuola ero cresciuta, per poi passare al Tokyo Ballet quando decisi che volevo crescere ancora. Oggi è la mia compagnia, una famiglia per me.
Tra i suoi incontri spicca quello con Roland Petit: cosa ha rappresentato per lei?
Fu lui ad aprirmi una carriera internazionale. Gli spettatori del Teatro alla Scala lo ricorderanno: mi vide, gli piacque il mio développé e com’era tipico suo mi volle ospite qui, nel suo balletto Notre-Dame de Paris. Con il suo assistente Luigi Bonino avrei lavorato ancora, tra l’altro nell’Arlésienne.
Dove ha avuto come partner Roberto Bolle, no?
Sì, Bolle è meraviglioso, ma tutte le ballerine lo diranno. Per me in particolare perché in Gappone, io che sono alta, fatico a trovare partner. Balleremo ancora insieme a breve, a Tokyo, dove prenderò parte a un Gala con lui e Alessandra Ferri: ne sono molto orgogliosa.
Altro incontro importante con Maurice Béjart: come lo ricorda?
Tatadsuko Sasaki, il fondatore del Tokyo Ballet, un giorno mi diede un video con Sylvie Guillem che danzava Bolero, dicendomi di imparare il balletto. Poi mi filmò e mandò il video a Béjart, che mi diede il permesso di danzarlo: più tardi l’avrei incontrato, in Giappone, dove me lo insegnò personalmente. Ero timorosa, mentre lui era così calmo… Non dimenticherò i suoi occhi blu tanto profondi: li ho davanti ogni volta che danzo il suo Bolero. Un altro suo balletto, che danzo in questo tour alla Scala, è nel repertorio del Tokyo Ballet: The Kabuki. Da profondo conoscitore della nostra cultura, Béjart ne fece un capolavoro di fusione tra Oriente e Occidente, il nostro mondo visto con i suoi occhi.
The Tokyo Ballet al Teatro alla Scala:
11 e 12 luglio: Serenade, Dream Time, Le Sacre du printemps: Mizuka Ueno danza in Serenade nella parte dell’Angelo.
13 e 14 luglio: The Kabuki. Mizuka Ueno danza il 13 luglio nel ruolo di Kaoyo Gozen.