Nell’ambito dello storytelling si è soliti distinguere tre diverse “modalità” comunicative: narrativa, rappresentativa (o mostrativa) e partecipativa.
Il racconto di Melville Billy Budd (modo narrativo), quando viene adattato da Benjamin Britten a mo’ di opera passa al modo rappresentativo. Naturalmente esistono modi “misti” come il fumetto, la graphic novel, ecc. Per quanto riguarda la terza modalità, è chiaro che si tratta di uno spazio più controverso. La partecipazione attiva da parte del pubblico riguarda soprattutto i media interattivi (tipo i videogiochi) oppure casi particolari tipo quello dei “parchi a tema” dove ci si ritrova dentro un film di Walt Disney o in Star Wars o cose simili. Ma la pulsione partecipativa si associa spesso alla dimensione rituale. Penso a un caso limite come l’audience participation che il fans di Rocky horror picture show continuano a organizzare al cinema Mexico di Milano a mo’ di festa collettiva.
L’opera è un tipo di comunicazione narrativa a dominante mostrativa ma con un’altissima intensità partecipativa. È famoso il bis di “Va’ pensiero” cantato da tutto il pubblico nel Nabucco diretto da Muti. Nel teatro musicale moderno la modalità partecipativa contiene sempre qualcosa di utopistico o di provocatorio in cui sia l’empatia comunitaria (teatro di massa) sia la funzione straniante (Piscator e Brecht) risultano alquanto problematiche. Un esempio emblematico potrebbe essere il coro mescolato al pubblico nell’opera Passaggio di Luciano Berio.
Il 23 giugno a Ravenna ho assistito a uno spettacolo musicale in cui la modalità partecipativa ha funzionato perfettamente, creando uno spazio drammaturgico interattivo di straordinaria potenza lirica e civile: Inferno del Teatro delle Albe, tratto dal poema dantesco, il cui soundscape affascinante è stato messo a punto da Luigi Ceccarelli. Marco Martinelli e Ermanna Montanari, le anime dello spettacolo, hanno qui raggiunto uno dei vertici del loro percorso teatrale (e musicale).
Anche l’allestimento va menzionato: i suoi mirabilia si devono allo scenografo Edoardo Sanchi che non a caso lavora nel campo dell’opera da decenni. Ho già parlato in un mio precedente intervento della vocalità di Ermanna Montanari (una vera e propria Callas della recitazione). Se prendiamo una delle sue “arie declamate” più virtuosistiche ed emozionanti, il monologo degli avari e prodighi (canto VII), culminante nel verso-refrain “per che l’umana gente si rabbuffa”, ci troviamo dentro non solo il rap (come in molti hanno detto): cantillazione ecclesiastica, paracatalogé antica, recitativo, melologo ritmico, Sprechgesang moderno – nella Voce di Ermanna abitano tante voci diverse e “diverse voci fanno dolci suoni”.
Qui il link al caffè con l’artista sul Purgatorio
Foto di copertina Ph. Silvia Lelli