D’estate i teatri d’opera sono chiusi ma è il periodo dei grandi festival: Salisburgo, Glyndebourne, Aix en Provence, Bayreuth, ecc.
Una situazione che mi ricorda la quaresima d’altri tempi: l’opera era vietata ma c’erano gli oratori. Dov’è il problema? La stagione delle opere era il carnevale ma il carnevale può essere sempre purché si rappresenti un’opera. Così l’opera d’estate ha un suo fascino particolare – quello del festival. Solo sulla costa adriatica, in Italia, se ne contano vari: Ravenna Festival, Rossini Opera Festival (ROF), Macerata Opera Festival, Festival della Valle d’Itria.
Ognuno ha il suo “carattere” e il suo pubblico. Il ROF è probabilmente quello più blasonato e con la maggior concentrazione di melomani veraci, quelli “che non ci sono più le voci di una volta”. Al ROF ho visto un’opera rara e stupefacente di Rossini nell’edizione critica a cura di Damien Colas: Le siège de Corinthe. Un’opera che ci costringe a prendere molto sul serio la “modernità” di Rossini. Il concetto verdiano di “tinta”, per esempio, è già perfettamente presente in questa opera che è come pervasa da un continuo e ansiogeno tempo di marcia. La sua compattezza drammatico-musicale a tensione sempre crescente, il livello di integrazione dei singoli “numeri”, la logica quasi spietata del susseguirsi degli eventi scenici: tutto ci dice che Rossini non è meno “romantico” di Berlioz (che molto ha preso da questa opera), anche se lo è in modo diverso.
La direzione d’orchestra di Roberto Abbado (infortunato al braccio destro) mi è sembrata meno incisiva (a minore voltaggio) di quella del Mosè del 2011 (quello con la regia di Graham Vick), ma si è fatta apprezzare per equilibrio e raffinatezza, oltre che per il bel suono dell’orchestra. Equilibrato anche il cast senza però nessuna voce “fuori serie” (ma questo è il bello del “teatro musicale” di oggi, alla faccia di quelli “che non ci sono più le voci di una volta”). Lo spettacolo della Fura dels Baus è giustamente engagé e di grande impatto drammatico-visivo. L’attualizzazione registica non sceglie l’immaginario dello scontro di civiltà per la sua messinscena, ma quello più “apocalittico” della guerra dell’acqua. Uno dei momenti più straordinari per me è stata la proiezione di Darkness, il testo poetico di Lord Byron, durante il Divertissement. Non ho capito il riferimento a “L’œil de l’éthique” (qualcuno me lo spiega per favore?), ma la sovraesposizione simbolica dei bottiglioni di plastica, ammassati dappertutto, mi è sembrata davvero efficacissima. Insomma: una produzione memorabile di un’opera tutta da (ri)scoprire.
Foto di copertina Ph. Amati Bacciardi