L’argomento che vorrei trattare a margine del Giulio Cesare che ho visto nei giorni scorsi alla Scala (direttore d’orchestra Giovanni Antonini, regista Robert Carsen) è quello della normalizzazione della early music.
L’epoca dei controtenori
Lo farò discutendo tre aspetti. Primo tema: i controtenori. Quando alla Scala venne presentato il Midsummer Night’s Dream di Benjamin Britten (1961) successe una cosa sintomatica. Il ruolo di Oberon, scritto da Britten per un controtenore (Alfred Deller), venne affidato a un contralto donna en travesti. La voce di controtenore non aveva (ancora) diritto di cittadinanza alla Scala.
Il primo Giulio Cesare che ho ascoltato io era su disco (naturalmente) e prevedeva invece un baritono (Dietrich Fischer-Dieskau) nel ruolo eponimo. In molti neppure sapevamo che era stata scritta per un castrato, il Senesino. In ogni caso la soluzione di intonare la parte dell’eroe romano un’ottava sotto sembrava la più consona a colmare il gap temporale e culturale che ci separa(va) dall’opera di Händel.
Ma con il trionfo del movimento “autenticista” dell’early music questa scelta apparve non solo discutibile ma frutto di una falsificazione. Stava per cominciare l’epoca dei controtenori. La loro voce venne però all’inizio utilizzata solo per il personaggio del libidinoso tiranno: Tolomeo. Così faceva per esempio il mio amico Alan Curtis. Per Giulio Cesare e Sesto egli preferiva cantanti donne en travesti. La voce del controtenore era infatti per lui, come per Rodolfo Celletti, una voce alquanto “artificiosa” e inadatta a restituire la vocalità dei castrati.
Oggi, in un’epoca post-filologica, i controtenori sono stati definitivamente accettati e istituzionalizzati. Alla Scala ce n’erano addirittura quattro!
Early music e Regietheater
Secondo tema: early music e Regietheater. Peter Sellars aveva suscitato un putiferio col suo Giulio Cesare iperattualizzato del 1990, ma oggi vedere il trionfatore di Farsalo in tuta mimetica è diventato un “genere”. Non provoca più nessuno.
Io ho visto ormai parecchi allestimenti di questa meravigliosa opera e devo dire che erano tutti ambientati in un moderno Medio oriente tra guerre petrolifere, questione palestinese, guerra del golfo, Abu Ghraib, ecc. La novità è che mentre la regia di Sellars non sarebbe mai potuta essere rappresentata alla Scala nel 1990 (e neppure parecchi lustri dopo) oggi quella di Carsen passa senza suscitare alcun dissenso: anzi, nel tripudio generale.
Gli strumenti antichi
Terzo tema: gli strumenti antichi. Il sound dell’early music è stato a lungo percepito in opposizione a quello “classico”. Ricordiamo tutti le polemiche furibonde sul diapason, sul vibrato, sulle corde di budello, ecc. L’emancipazione progressiva dell’h.i.p. (historically informed performance) ha raggiunto il suo punto apicale quando da una parte gli “antichisti” hanno incominciato a dirigere le orchestre classiche e il repertorio ottocentesco (Harnoncourt che dirige l’Aida, Antonini che dirige le sinfonie di Beethoven) e dall’altra i grandi direttori “classici” hanno incominciato a imitare il suono e le modalità esecutive tipici dell’early music.
Oggi, l’integrazione tra i due mondi sonori non fa più problema per nessuno e moltissimi musicisti sono bilingui. Conosco cornisti che sanno suonare altrettanto bene due strumenti in realtà diversissimi: il corno naturale e quello a pistoni. Quali conclusioni dobbiamo trarre dai tre temi che abbiamo cercato di discutere? Lascio questo arduo compito ai miei sagaci lettori.
Immagine di copertina: Christophe Dumaux e Sara Mingardo, Giulio Cesare, Teatro alla Scala 2019, Ph. Brescia e Amisano
A questo link il post di Alberto Mattioli sui controtenori