La dodecafonia, quel “metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra”, è una sorta di baubau dell’ascoltatore medio. Il termine, nella vulgata, si sostituisce spesso alla parola “cacofonia”. Oppure viene usato in espressioni del tipo “io non capisco la musica contemporanea, quella dodecafonica” (la Dodecafonia ha più di 100 anni!).
Insomma il termine viene normalmente usato per indicare una musica particolarmente ardua all’ascolto e col tempo si è creato una cattiva fama. Vero è che spesso una tecnica compositiva quando applicata in maniera rigorosa e dogmatica rischia di fare della composizione una sorta di resoconto scientifico. Il rischio è quello di sacrificare così la comunicazione del messaggio musicale. Lo scollamento tra costruzione e percezione espressiva dell’ascoltatore è, ahimé, assai possibile.
Arnold Schönberg, padre della dodecafonia
Vero è che le composizioni dodecafoniche di Arnold Schönberg, padre della Dodecafonia, non sono forse tra le sue migliori creazioni. Secondo me proprio a causa della loro natura fortemente teorico-dimostrativa. È come se, ribaltando la questione, componendo un pezzo tonale si scrivesse musica che torna continuamente alla tonica. Il tutto secondo la relazione Tonica-Sottodominate-Dominante che è appunto alla base del sistema tonale.
In altre parole, come se in un discorso in lingua italiana, ci si esprimesse sempre e solo usando la combinazione soggetto-verbo-complemento. Il paragone è forse estremo ma credo possa chiarire il fatto che nella musica la teoria fine a se stessa muore con la teoria. Sia che si parli di linguaggio tonale o atonale.
Non è un caso che, gli esiti più interessanti del serialismo si siano avuti nei pezzi del tardo Schönberg e in quelli dei suoi discepoli Webern e Berg. Basti pensare alla Lyrische Suite o il Concerto per violino di Berg. O a molta musica di Webern nella quale all’uso rigoroso della tecnica dodecafonica si è associata una ricerca sul timbro e sulle durate dei suoni di raro fascino.
Le liriche di Luigi Dallapiccola
Tra le vette più alte della creazione musicale dodecafonica collocherei inoltre molta musica di Luigi Dallapiccola. All’interno del suo nutrito corpus compositivo meritano una particolare attenzione tre cicli di liriche, concepiti separatamente ma legati tra loro da comuni intenti. Nati dalla fascinazione dei classici greci studiati attraverso la mirabile traduzione di Salvatore Quasimodo, i tre cicli sono Cinque Frammenti di Saffo, Sex Carmina Alcaei e Due Liriche di Anacreonte. Sono composti utilizzando la tecnica dodecafonica, ma conciliando le ragioni costruttive, pur rigorose, agli intenti espressivi.
Tratto comune del serialismo dallapiccoliano è la concezione della serie non sulla base di astrazioni matematiche, ma già pensando alle ragioni della musicalità e dell’uso della voce. Dall’esito poetico ed estetico ragionando a ritroso per determinare i pilastri di partenza. Com’è stato detto più volte in passato, Dallapiccola dà una risposta “mediterranea” alla dodecafonia, attraverso linee melodiche di una bellezza apollinea, quasi neoclassica.
I Sex Carmina Alcaei per soprano e 11 strumenti (1943), omaggio reverenziale ad Anton Webern per il suo sessantesimo compleanno, sono basati sulla tecnica contrappuntistica del canone e sui procedimenti di inversione, aumentazione, retrogradazione etc. La serie dodecafonica che regge l’intero ciclo è esposta dalla sola voce all’inizio della prima lirica. A una veloce analisi si riscontra che essa è costruita su una scala ottofonica (scala di otto suoni che alterna tono e semitono) e che già lascia intravedere la possibile organizzazione accordale dei dodici suoni.
La serie dodecafonica
Osservando l’immagine sottostante i più esperti possono notare che la serie è divisa grossomodo a metà, in due sezioni. La prima dal suono 1 al 7 (scala do#-re#-mi-fa#-sol-la-sib). La seconda dal suono 7 (in comune con la prima metà) al suono 12 (scala re-mi-fa-sol-labem-sibem-si). La seconda frase ripropone la stessa serie ma retrogradata (letta dall’ultimo suono al primo) e trasposta un semitono sopra.
Tutte le armonie dell’intero ciclo, ma già ascoltabili a partire dall’intervento del solo pianoforte nel primo brano, derivano dalla stessa serie, i cui suoni vengono sovrapposti e organizzati ad accordi. Il risultato è una trama polifonica estremamente seducente. Al di là delle affascinanti, e in questo caso non fine a se stesse, analisi del brano, vale la pena abbandonarsi, attraverso questo link, alla siderea, incantata, metafisica musica di Luigi Dallapiccola, il poeta dei dodici suoni.
Qui il link ai Dallapiccola Days tenuti lo scorso maggio al Centro Studi Luigi Dallapiccola