Non esiste un compositore più inafferrabile di Musorgskij: vi spiego perchè!

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Non esiste un compositore più inafferrabile di Modest Musorgskij. O forse è solo un’impressione. Certo, dando un’occhiata al suo catalogo salta all’occhio come la maggior parte delle sue composizioni siano rimaste incompiute e abbiano richiesto l’intervento di altri compositori e interpreti, primo fra tutti Rimsky-Korsakov. Del resto sappiamo anche che nel Novecento le sue pagine sono state oggetto di riflessione per Ravel e Šostakovič.

Difficile quindi tracciarne il processo creativo, ancora di più tentare un’analisi delle sue partiture. Basti pensare che della sua opera più celebre e più importante, il Boris Godunov, esistono tante di quelle versioni, rifacimenti, e orchestrazioni che sembra quasi di essere davanti a un’opera perennemente aperta.

Modest Musorgskij: la sintesi di Claudio Abbado sul Boris

A questo proposito esiti importanti ha avuto, a mio avviso, il lavoro di Claudio Abbado che sul Boris ha dato vita a una sorta di sintesi tra le diverse partiture esistenti, e forse restituendoci la più convincente edizione dell’opera. È curioso però pensare che un compositore dal catalogo così lacunoso sia stato in realtà ispiratore e punto di partenza di tutte le principali avanguardie del Novecento. Dove infatti, se non in  Musorgskij, i presupposti linguistici di Stravinskij, Prokof’ev e Šostakovič?

Ma per molti aspetti anche di Debussy e addirittura di Messiaen, se pensiamo al concetto di tempo e sviluppo musicale. In Modest Musorgskij infatti l’organizzazione dei materiali non segue i processi di sviluppo tipici della musica occidentale, in cui la concatenazione delle frasi e delle strutture formali si regola sui principi di ripetizione e variazione; ogni sezione è a sè, e quasi si giustappone a un’altra.

Un nuovo corso, senza schemi, nella storia della musica

Musorgskij non rimanda mai a un modello formale precostituito (“formes administratives” come le chiamava Debussy), ma crea ogni volta un “contenitore” che è funzionale a una personale idea di narrazione. Si può dire che Musorgskij inauguri un nuovo corso nella storia della musica. Ma per cogliere questi elementi di novità occorre imbattersi nelle numerose versioni delle sue opere, tra partiture incompiute e le pesanti revisioni – quasi delle censure – fatte da Rimsky-Korsakov, il quale ha ripulito, edulcorato, sanato le asperità, i lampi di genio in favore di esiti scolasticamente corretti. Uno dei casi più eclatanti di riscrittura sta in una delle partiture simbolo del repertorio orchestrale: La Notte di San Giovanni sul Monte Calvo.

La Notte di San Giovanni sul Monte Calvo

La gestazione di questo poema sinfonico è stata travagliatissima, se ne conoscono almeno tre versioni, ma gli abbozzi sono molti di più. Nasce come spunto per un’opera mai realizzata, ma esiste anche la traccia di un progetto del lavoro per pianoforte e orchestra (sull’esempio del Totentanz di Liszt), un’altra prevede l’intervento del coro, un’altra ancora viene pensata come Intermezzo per l’opera La Fiera di Sorocinskij (mai compiuta anche questa). Infine vi è la versione a noi più nota, quella di Rimsky-Korsakov del 1886, realizzata cinque anni dopo la morte del compositore, basata sulla partitura originale del 1867 ma pesantemente rimaneggiata, con un finale tratto da uno dei tanti abbozzi esistenti.

Solo in anni recenti, grazie anche alla magistrale esecuzione/riscoperta di Claudio Abbado, riusciamo a conoscere finalmente le origini e la vera natura di questo sofferto capolavoro. Non mi soffermerò sul significato programmatico del brano che, in sintesi, vuole essere una sorta di evocazione di un Sabba di streghe nella notte, emblematica, luminosa e magica di San Giovanni, il 24 giugno, grossomodo il solstizio d’estate.

La versione del 1867 de Una Notte di San Giovanni su Monte Calvo è una delle partiture più impressionanti dell’Ottocento. Le diverse sezioni che caratterizzano la partitura sembrano chiuse in sè, legate e coese tra di loro da una tensione formale fatta di continui cambiamenti di tempo, di accelerandi e da qualche riferimento motivico che ritorna modificato. A dare quel senso di ebbra danza demoniaca concorrono i temi dalla forte marca popolare, le frasi musicali dalla sintassi spesso irregolare su armonie scarne o su concatenazioni armoniche modaleggianti (anche facendo ricorso alla scala esatonale).

Rispetto alla versione di Rimsky-Korsakov, quella del 1867 è asprissima, di una violenza quasi insostenibile, tellurica, con un’orchestrazione che non ha precedenti, preludio al Novecento di Stravinskij o di Šostakovič (ecco da dove viene la tipica scrittura a raddoppi d’ottava tra strumenti di timbro diverso). Musorgskij, veggente architetto di suoni, sembra non avere radici. Difficile riscontrare i modelli di riferimento, il percorso e la maturazione del suo linguaggio. La sua musica sembra affondare in una storia lontana, forse in una Russia originaria, arcaica, immaginaria che parla di un tempo che è anche il nostro e che non finisce di sconvolgere.

Immagine di copertina: El gran cabrón di Francisco Goya

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