Al Teatro Comunale di Ferrara la Batsheva Dance Company ha portato in prima ed esclusiva nazionale Last Work, del coreografo in residenza Ohad Naharin. Con un servizio d’ordine meno imponente e visibile del solito, senza le contestazioni anti-israeliane che in altre occasioni si accendono fuori dal teatro, la compagnia di Tel Aviv ha raccolto i soliti entusiastici consensi dal publico di ammiratori italiani, in gran parte molto giovani.
Una vera star della scena contemporanea Ohad Naharin, oltre i confini della danza, anche grazie al metodo da lui ideato detto “Gaga”, adottato persino da stars di Hollywood. Traversali le consacrazioni: l’ultima alla mondanissima soirée di inaugurazione della stagione di balletto dell’Opéra di Parigi, dove per “Mr. Gaga” ha riallestito il suo duo Bolero per le étoiles Aurélie Dupont e Diana Vishneva, per l’occasione abbigliate Chanel.
Tornando all’impegno con la Batsheva, proprio due mesi fa il sessantaseienne Naharin ha lasciato dopo trent’anni l’incarico di direttore artistico e sarà da vedere come il rapporto artistico si evolverà. Si immagina con l’apporto di giovani allievi sulla sua scia – come accaduto a Sharon Eyal, oggi lanciatissima – ma sempre nella direzione di quell’unicum che è la danza contemporanea israeliana, sbocciata senza radici, assolutamente originalissima, innumerevoli ormai i tentativi di imitazione.
Last work ne è solo l’ultimo esempio: creazione di poco più di un’ora composta da quadri esteticamente distinti, dove la purezza della coreografia è attraversata da incursioni simboliche: una ranner in abito lungo che corre per l’intera pièce su un tapis rulant, preti impegnati in duetti lascivi con ragazze in baby doll, figure senza volto con in mano un kalashnikov o una bandiera bianca. All’apparenza di troppo facile lettura, così come il muro tra le quinte che argina l’azione, non fosse che Naharin ha anche questa volta rifiutato di identificare il suo lavoro con un messaggio politico.
Tralasciando dunque qualsiasi tentativo di interpretazione, meglio concentrarsi sulla più riuscita scrittura coreografica, pregevole come sempre in Naharin, per danzatori forgiati dal metodo Gaga, che si vuole faccia attingere da una forza interiore tanto la disinibita creatività quanto la raffinata precisione. Plasticamente torti o in impossibili equilibri, concentrati sui dettagli o scossi dall’energia, i sedici interpreti tessono assoli, duetti, insiemi di mirabile fattura, dove ogni minimo movimento è necessario e insostituibile. Nel consueto crescendo parossistico cui Ohad Naharin ci ha abituati, capace di scuotere ed entusiasmare ad ogni latitudine e cultura.
Immagine di copertina Ph. Gadi Dagon