Intervista esclusiva a Sergei Polunin: l’enfant terrible della danza

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Attratti dalla fragilità emotiva e dalle verità inconfessabili svelate dal documentario sulla sua vita Dancer (finalmente in uscita in Italia, il 5 febbraio) e dall’appeal tenebroso dei film che interpreta (Assassinio sull’Orient-Express l’ultimo, nelle sale italiane) rischiamo di tralasciarne i meriti artistici. Lasciando in secondo piano le doti di ballerino fuoriclasse dal temperamento impetuoso, che sta esplorando con intelligenza e audacia la danza contemporanea, come nel programma Satori, che dopo il debutto dello scorso dicembre al Coliseum di Londra, arriva in prima nazionale al Teatro Regio di Parma sabato 3 febbraio alle ore 20.30 e poi al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena martedì 6 febbraio alle ore 21.00.

Sergei, qual è l’obiettivo della sua nuova troupe, Project Polunin?

“Voglio raggiungere nuove frontiere della danza contemporanea, esplorarne ambiti diversi con artisti di varie discipline, collegando la performance dal vivo a diverse piattaforme, per esempio i new media, per offrirla al pubblico in modo innovativo. Un obiettivo è anche offrire chances ai danzatori che collaborano con me, oltre a tre giovani allievi di cui mi sto occupando. Siamo nel pieno di un percorso del quale vorrei restasse la consapevolezza che l’industria dello spettacolo debba rispettare i danzatori.”

Dove nasce Project Polunin?

“Le idee nascono a Londra, dove facciamo base, ma si sviluppano a Belgrado. La Serbia, che ho percorso in lungo e in largo, è un paese che sta crescendo, pieno di vita, con gente che ci sta aiutando. Qui ho trovato e ristrutturato una vecchia fabbrica di zucchero, adattandola a studio di danza.”

Il programma di Satori, in questi giorni in Italia, si apre con First Solo, creato per lei da un ancora sconosciuto coreografo. Perché l’ha scelto?

“Andrey Kaydanovskiy, russo di residenza austriaca, è giovanissimo ma lavora già seriamente, ha un pensiero intelligente e profondo, percorso da un suo humour anche quando tocca le corde del dramma. Avevamo già lavorato insieme la scorsa estate, in una performance al nuovo Julier Theatre, nel cuore delle Alpi svizzere, e mi erano piaciute molto le sue idee. Penso sia tra i maggiori talenti della sua generazione, un artista da tenere d’occhio.”

Skriabiniana, datato anni ’20, è invece una perla misconosciuta del repertorio russo. Come l’ha recuperato?

“È stata Natalia Osipova a suggerirmelo, sapendo che per la mia compagnia voglio allestire anche alcuni revival. Ho scoperto un capolavoro pionieristico del balletto moderno e un coreografo, Kasyan Goleizovsky, che benché vittima del sistema sovietico, tarpato nella sua creatività, ispirò chiunque l’abbia conosciuto, anche George Balanchine.”

Ecco: Natalia Osipova, sembrate molto simili. Che rapporto vivete in scena? 

“In realtà siamo molto diversi. Ma lei mi conosce bene, sa consigliarmi e aiutarmi, ha capito cosa voglio, come danzatore e come persona, e io la ascolto molto. In scena, certo, c’è un sentimento speciale, extra, come accade con i danzatori ai quali si tiene particolarmente. Danzare insieme è meraviglioso, con lei provo grandi emozioni, ma proprio per questo può essere più difficile condividere la scena.”

Danzate insieme anche nell’ultimo titolo del programma, Satori, una sua coreografia: è la prima?

“Sì, anche se a scuola mi ero già misurato con essais coreografici e da inteprete ho sempre portato la mia creatività. Ma questo è un debutto da coreografo e ne sento tutta la responsabilità. Ho lavorato con un regista, Gabriel Marcel Del Vecchio: ci siamo incontrati a metà strada, mentre ricercavamo, leggevamo, vivevamo le nostre vite, e mentre le cose accadevano arrivavano anche il nome del pezzo e il suo significato. Vuole essere il viaggio di chi, attraversando la propria vita nell’oscurità, ne è a un tratto risvegliato, per scoprire infine chi è. Originale è anche la musica, di Lorenz Dangel, una delle più belle che abbia mai sentito.”

Il décor invece è di David LaChapelle: cosa la lega a un artista all’apparenza così lontano dal mondo del balletto?

“Non so, è nata così: a volte si incontrano persone che diventano molto importanti nella nostra vita. Attraverso di lui ho visto da vicino cosa significhi essere un artista, e cerco semplicemente di guardare come fa. Ha doti naturali rarissime, per esempio concepisce un’idea al secondo: penso sia un genio. Sono stato molto fortunato a lavorare con lui, e felice di essere veicolo del suo messaggio, che da uomo puro qual è, è sempre positivo. Così colgo ogni opportunità che ho di lavorare con lui.”

Però non ha abbandonato il classico, che danza quasi esclusivamente al Bayerisches Staatsballett: perché?

“L’amicizia conta per me: Igor Zelenskij, direttore di una grande compagnia qual è il Bayerisches Staatsballett, è un caro amico e una figura che è diventata molto importante nella mia vita.”

Si intensifica anche la sua carriera nel cinema: perché l’ha scelta?

“Perché mi dà nuove competenze. Ma soprattutto perché recitando si impara qualcosa di se stessi, ci si educa e si capisce la vita. Si scopre anche cosa si ama e cosa si odia: è un modo di sentire la vita, ed è importante imparare a farlo.”

Sembrerebbe una  ricerca della libertà. Come danzatore cosa significa?

“Ho sempre cercato la libertà, voglio sentirmi libero, godere della sensazione di contare solo su me stesso. Ma forse è più importante sentirsi libero che non esserlo veramente, riuscire a trovare la propria libertà in ogni situazione: da danzatore anche nella propria compagnia o per me, in in questa nuova fase, nel modo di essere leader della mia troupe. Le cose cambiano, si impara sempre qualcosa. Tutti noi danzatori dovremmo poter scegliere come e con chi lavorare, per creare l’arte che vogliamo. Così come ogni essere umano, del resto.”

A MILANO: il 7 febbraio Sergei Polunin sarà ospite all’Anteo Palazzo del cinema per presentare il documentario Dancer di Steven Cantor (ore 19.40). Nel pomeriggio dello stesso giorno incontrerà i fans presso il nuovo spazio Wanted Clan di via Vannucci 13.

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