From Bach to Bowie: in Italia il Complexions Contemporary Ballet

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Con lo spettacolo From Bach to Bowie è appena passato in tour in Italia lo statunitense Complexions Contemporary Ballet, con date al Politeama Rossetti di Trieste e al Teatro Regio di Parma. L’intervista con il fondatore, direttore e coreografo Dwight Rhoden è stata l’occasione per capire a che punto del cammino sia la compagnia di danza contemporanea che della diversità etnica, culturale e di genere ha sempre fatto la sua bandiera.

Dwight, dopo 25 anni i Complexions come sono cambiati?

«Il concetto e lo stile sono rimasti gli stessi. Ci siamo aperti ad altri autori guests, tra i quali William Forsythe, ma continuiamo a proporre balletti contemporanei d’avanguardia che celebrino l’idea della diversità. La nostra base è il classico, di cui forziamo i limiti attraverso la varietà coreografica e musicale, con creazioni che indaghino la condizione umana».

In che modo avete contribuito alla promozione della diversità e del multiculturalismo nella danza contemporanea?

«Quando siamo apparsi sulle scene nel 1994 già si parlava di questi temi, ma il mondo della danza non era ancora veramente cambiato. Noi Complexions abbiamo indicato la strada, dando l’esempio con il nostro mix di elementi contrastanti inneggianti alla differenza».

L’attuale situazione sociale e politica degli Stati Uniti influenza il suo lavoro?

«Sono sempre attento a quanto succede nel mio Paese e penso che ogni artista debba esserlo, ma credo anche che l’arte sia più importante che mai per indicare una direzione, e a volte per sfuggire alla quotidianità».

Come scegliete i vostri danzatori?

«Oltre alla forte formazione classica, all’alto livello tecnico e all’espressività naturale, cerchiamo individualità e unicità. Ci piacciono danzatori con grande passione e proprie idee. Molti vengono dai programmi Summer e Winter Intensive della nostra Academy ».

Cosa si insegna?

«Sono  workshops concentrati sul genere di balletto contemporaneo dei Complexions, ovvero una forte base classica su cui si innestano vari stili: contemporaneo, modern, jazz, hip-hop, afro. È il nostro credo per essere competitivi sulla scena della danza oggi».

Desmond Richardson, co-fondatore e co-direttore dei Complexions, è anche un danzatore fuoriclasse, guest di grandi compagnie, stella a Broadway e Hollywood. È il modello della vostra nuova generazione di danzatori?

«Sì. Desmond è il prototipo dell’artista del CCB. Vogliamo danzatori che abbiano la sua eticità e integrità artistica».

Lei invece come coreografo da cosa trae idee e suggestioni?

«Soprattutto dal mondo in cui viviamo, dalle sfide della condizione umana, dalle relazioni che definiscono la nostra quotidianità. Anche dai miei danzatori: all’inizio di ogni mia nuova creazione ho un concetto in mente, ma lavorandoci accolgo pienamente le idee degli interpreti che ho di fronte».

La cultura pop contemporanea come la influenza?

«Ne sono connesso per forza visto il legame con la nuova generazione di danzatori. Ascolto molta musica, assisto a concerti, vedo spettacoli di danza, cerco di restare aggiornato. Mi piace anche uscire e sperimentare la vita notturna delle città del mondo dove avverto forte l’energia dei giovani».

Che programma avete scelto per l’Italia?

«Molto danzato, con elementi di entertainment. Ballad Unto si musica di Bach, indaga le relazioni in una cornice neoclassica. La seconda parte è una selezione di composizioni più intime, tra cui Imprint/Maya, un solo riservato a Desmond Richardson sulle sofferenze razziali in America. Star Dust, è un tributo a David Bowie, alla sua natura camaleontica, alle sue performances, alla sua musica molto danzabile. Un quadro in movimento, che dipinga i tanti mondi  evocati dalle sue canzoni».

Quindi che “messaggio” volete portarci?

«Celebriamo l’espressività del corpo umano e crediamo nel potere della danza di portare bellezza nel mondo, contribuendo a vincere le sfide che viviamo».

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