La ripresa al Teatro alla Scala del Lago dei cigni di Alexei Ratmansky (fino al 21 luglio) è occasione per riflettere sulle ricostruzioni filologiche dei balletti imperiali russi realizzate nell’ultimo ventennio.
Eventi per storici e ballettomani, che finalmente vedono riprendere vita nella forma originale i balletti di Marius Petipa, pesantemente rimaneggiati in epoca sovietica. Spettacoli non sempre appassionanti per il grande pubblico, deluso perché scene e costumi non sono più di nostro gusto. Mancano inoltre quei virtuosismi estremi che l’evoluzione della tecnica ha aggiunto.
Pensiero condiviso da molti anche nella comunità del balletto, tanto che parecchie ricostruzioni, rappresentate solo una manciata di volte, sono state presto espunte dal repertorio. Anche tra quelle firmate da Ratmansky, che pure continuerà a lavorarci e per il 2018, ha già annunciato Les Millions d’Arlequin per l’American Ballet Theatre e La Bayadère per il Berlin Staatsballett. Con la meticolosità del coreologo e l’estro del coreografo, Ratmansky promette altre preziose ricostruzioni.
Il Lago dei cigni di Alexei Ratmansky
Com’è questo Lago dei cigni: operazione meticolosa nella preparazione quanto naturale per risultato. Il balletto di Petipa-Ivanov è scaturito dal lavoro sulla Collezione Sergeev della Harvard Library (che conserva le annotazioni coreografiche di 22 balletti imperiali). Oltre allo studio dei rispettivi stili dei due maîtres des ballets, all’analisi di schizzi e figurini e della partitura musicale e pantomimica dell’allestimento originale.
Riuscendo a ritrovare, nella restituzione al palcoscenico, l’afflato poetico e la grazia incantevole che oggi scopriamo fossero del balletto imperiale. Nessun effetto museale dunque, bensì una vitalità che anche il pubblico, abituato a versioni sempre più sintetiche e dinamiche, ha pienamente apprezzato. Accanto alle produzioni del Novecento, un classico da mantenere in repertorio, per comprendere il passato e imboccare la giusta strada quando si voglia intraprenderne la rilettura.