Al Mart di Rovereto la mostra “Isadora Duncan. Danzare la rivoluzione”

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È un diletto per gli amanti della danza la mostra Isadora Duncan. Danzare la rivoluzione, allestita al Mart di Rovereto (fino al 1° marzo 2020) per la cura di Maria Flora Giubilei e Carlo Sini. Chi l’avesse persa al debutto al Museo di Villa Bardini di Firenze, la ritroverà di ancor maggiore respiro con le sue oltre 170 opere che testimoniano legami e influenze con le arti figurative, soprattutto italiane, tra Ottocento e avanguardie.

Un pezzo tra tutti, indice della nuova presidenza al Mart di Vittorio Sgarbi: il dipinto Gioia, che ritre la danzatrice americana sulla spiaggia toscana, finalmente ricomposto con Mare, dopo che l’autore, Plinio Nomellini, aveva tagliato il grande olio su tela in due parti. Arrivato in extremis alla mostra e scelto per la copertina del catalogo (ricco e scientifico: da avere!), appartiene alla quadreria di Villa San Martino di Silvio Berlusconi.

Isadora Duncan, documenti inediti

Ma consigliamo di concentrarsi su quelle sale dove sono esposte, inedite, le testimonianze documentarie di Isadora in Italia: per lo più reperite o appartenenti a Patrizia Veroli, storica di danza e tra i co-curatori della mostra.

Nel 1902 la danzatrice americana si esibì al Teatro Armonia a Trieste con i suoi Dance Idylls, ispirati all’antichità greca e alla Primavera di Botticelli, per poi spostarsi a Firenze a danzare al Circolo degli artisti. Nella città toscana si sarebbe stabilita nel 1906, anno della nascita della sua prima figlia, Deirdre, con il compagno regista Gordon Craig.

Nel 1912 si esibì per tre serate al Teatro Costanzi di Roma, danzando Orpheus e Ifigenia di Gluck. Come mostra il teegramma del suo impresario sarebbe dovuta apparire anche alla Fenice di Venezia nel 1915, in un recital con le sue allieve, ma lo scoppio della guerra cancellò la scrittura.

Isadora non avrebbe mai più danzato in Italia, ma vi sarebbe tornata nel 1913, nell’ora più tragica della sua vita, dopo aver perso entrambi i figlioletti, Deirdre e Patrick, a bordo di un’auto caduta nella Senna. Ad accoglierla a Fossa dell’Abate, presso Viareggio, l’amica carissima Eleonora Duse. In Versilia la ballerina, fantasma di dolore tra la spiaggia e il mare del Tirreno, avrebbe affascinato Plinio Nomellini, di cui sono esposti in mostra, oltre al succitato dipinto, opere e studi. Con lo scultore Romano Romanelli, giovane e bellissimo, figlio d’arte, la matura danzatrice ebbe una relazione e concepì una nuova creatura, morta alla nascita. Dell’incontro fugace resta testimonianza nella figura Il risveglio di Brunilde e nelle teste Il bacio e Ritratto di Isadora Duncan, pure esposti in mostra.

Futurismo e avanguardie coreutiche

Infelice fu invece il rapporto con il Futurismo: Filippo Tommaso Marinetti accusò la Duncan di mollezza e sentimentalismo e non si può non notare che proprio con il simbolo del movimento, l’automobile, Isadora perse i figli e nel 1927 sulla Promenade des Anglais di Nizza la sua stessa vita, cinquantenne, orrendamente decapitata dalla propria sciarpa impigliatasi tra le ruote  di un’Isotta Fraschini.

Felice invece l’influenza che la danzatrice ebbe sull’ambiente della danza libera italiana: centro propulsore il salotto torinese dell’imprenditore Riccardo Gualino e della moglie Cesarina Gurgo Salice, dove gravitò anche il pittore Felice Casorati, ritrattista delle sorelle danzatrici Bella e Raja Markman, presenti nei documenti e nelle opere in mostra. Dalla Russia passò dai Gualino anche un’altra emigrée, Ja Ruskaja, fissata in un bronzo di Aldo Andreani, che a Roma avrebbe aperto l’Accademia Reale (oggi Nazionale) di Danza.

Tracce di un passaggio effimero di documentazione quello di Isadora Duncan sulle scene italiane, ma ancor gravido di influenze, nell’arte e nel mito.

 

Isadora Duncan sulla spiaggia a Venezia
Severini: Ballerina
Andreotti: La plereuse, 1911
Laurenti: Fioritura nuova, 1897
Nomellini: Gioia tirrena, 1913
Rodin: Eve au rocher
Romanelli: Il Risveglio di Brunilde
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