Madame Favart, in scena in questi giorni all’Opéra Comique di Parigi, è un’operetta deliziosa di un Offenbach addomesticato – un’operetta che fa finta di essere un opéra-comique.
Quanto siamo lontani dalle parodie al vetriolo della Belle Hélène o della Vie parisienne (ecc.)! Di mezzo c’è stato il trauma di Sedan e della Comune con tutto ciò che ne consegue. Il vetriolo è diventato rosolio. Niente più comicità surreale o teatro dell’assurdo ante litteram. Come avviene nella Fille de Madame Angot di Lecocq, tanto per citare un titolo di riferimento di questo filone di operetta borghesizzata, anche Madame Favart si rifà alla tradizione settecentesca – un curioso paradosso, a pensarci bene. (Ne ho già parlato nel post dedicato alle P’tites Michu).
L’operetta – genere moderno se mai altri – si “inventa” la sua tradizione autorappresentandosi come erede dell’opéra-comique. Celebrare la famosa Justine Favart (uno degli “eroi fondatori” della suddetta tradizione) significa retrodatare di un gran bel po’ la propria origine e accreditarsi come genere ufficiale, canonico.
Alla fine è solo grazie all’intervento di “Sa Majesté”, il re Luigi XV, che il trionfo di Madame Favart e dell’Opéra Comique può avere luogo. Vi ricordate come venivano trattati nella Belle Hélène “le roi Ménélas” e il “grand Jupiter” nell’Orphée aux enfers? Dalla graffiante parodia di tutte le auctoritates alla celebrazione un po’ sciovinistica di un genere “nazionale”.
Poteva il teatro dell’Opéra Comique trovare un titolo migliore per commemorare il 200° della nascita di Offenbach e nello stesso tempo festeggiare se stesso? No e sì. No, perché Madame Favart, così ben concertata e diretta da Laurent Campellone e giudiziosamente messa in scena da Anne Kessler, è un titolo semplicemente perfetto per i fini autorappresentativi di cui sopra. Sì, perché scegliere un’operetta come Madame Favart può lasciar trapelare il desiderio di tagliare le unghie a Offenbach.
Non sarebbero di certo mancati titoli più graffianti da riscoprire! D’altronde anche in Madame Favart non mancano momenti surreali come l’esilarante “tyrolienne” cantata “a due” nel terzo atto da Madame Favart e Hector, nella quale il tenore François Rougier ha esibito una performance memorabile (con dei sovracuti in falsetto spassosissimi).
Ultima notazione, importante: la messa in parodia di tutti i valori, tipica dell’operetta di Hervé e Offenbach degli anni ’50 e ’60, pur venendo meno (in parte) negli anni ’70-’80, riemerge mutatis mutandis nella scuola “fumista” dello Chat Noir (per esempio in un umorista come Alphonse Allais), per poi tornare alla grande sotto il segno di Jarry, Franc Nohain e Claude Terrasse (1867-1923).
Il 100° anniversario della morte di Terrasse non è lontano: possiamo sperare dal Palazzetto Bru Zane e dall’Opéra Comique la ripresa di una delle operette di questo irrefrenabile compositore che fa da trait d’union tra l’esprit cocasse di Offenbach e l’humour noir di André Breton?
Info: opera-comique.com