Perché l’historically informed performance ha tanta fortuna?

in News
  1. Home
  2. News
  3. Perché l’historically informed performance ha tanta fortuna?

 

Ho letto con piacere il post di Emilio Sala sulla normalizzazione della early music trovandolo estremamente stimolante e attuale. Di recente ho assistito all’esecuzione delle Sinfonie di Beethoven (Terza e Quinta) da parte del gruppo Le Concert des Nation dirette da Jordi Savall per la Società del Quartetto di Milano. La loro interpretazione ha decisamente esaltato il pubblico di Sala Verdi che ha risposto agli accordi finali con grida di esultanza e applausi fragorosi.

Historically informed performance

È lecito e doveroso, da musicologi o appassionati, interrogarsi genuinamente su quello che sta accadendo. A prima vista potrebbe sembrare una semplice imposizione di un paradigma interpretativo che in questi anni sta riscuotendo un indiscutibile successo. Nonostante l’HIP sia un modello (o meglio, una costellazione di modelli) relativamente recente, la sua diffusione capillare ha interessato diverse realtà musicali, anche quelle con una ‘chiara fama’ alla spalle. Penso ad esempio ai Berliner Baroque Solisten, realtà nata negli anni ’90 in seno ai Berliner Philarmoniker.

Risponderei alla domanda finale del professore con un’altra domanda: perché l’HIP sta avendo questa fortuna? Essa è riuscita ad aprirsi al grande pubblico quando ha cominciato a proporre programmi da grande pubblico. Finché, infatti, i suoi concerti prevedevano l’esecuzione informata dell’integrale cameristico di un maestro di cappella di provincia, i veri fruitori rimanevano gli studiosi, gli interessati e tutt’al più i curiosi o i malcapitati. Ma se Savall esegue le sinfonie di Beethoven, Sala Verdi si riempie – eccome!

Mi chiedo se, con la sua freschezza e la a volte invadente pretesa di assoluta validità, l’HIP non si stia imponendo come l’unica risposta al grande dramma del ‘concerto di musica colta’ da stagione teatrale: conciliare necessità del (solito) repertorio con la fisiologica volontà di cambiamento e innovazione. Perché alla fine, con la calzamaglia o col frac, Beethoven resta sempre Beethoven.

Immagine di copertina: Jordi Savall Ph. David Ignaszewski

Qui il post di Alberto Mattioli sui controtenori

 

Michele Spotti debutta al Wexford Festival Opera
Giovanni Capaldi: un intellettuale nella Bari del primo Novecento

Potrebbe interessarti anche

Menu