“Pêcheurs de perles” a Torino: a proposito di misere regie e libretti insensati

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La stagione del Regio di Torino si è aperta con una produzione dei “Pêcheurs de perles” di Bizet massacrata da una regia al livello di una recita di Natale delle elementari. Onestà impone di precisare che si tratta di uno spettacolo, come del resto tutta la stagione che ha inaugurato, ordito dalla precedente gestione del teatro, il cui unico merito è di essere terminata.

Se anche con quella nuova la dimensione artistica del Regio dovesse restare in questo miserevole provincialismo, beh, allora tanto varrebbe davvero chiuderlo come piacerebbe a molti. Ma abbiamo fiducia nel nuovo sovrintendente Sebastian Schwarz, che tutto è meno che provinciale.

Pêcheurs de perles: un libretto insensato

Comunque l’oggetto della rubrichetta attuale non sono le miserie di monsù Travet ma quei non pochi titoli del repertorio lirico funestati da libretti insensati. I “Pescatori” (1863) ne sono un esempio preclaro. Qui il venticinquenne Bizet è già Bizet, un grande musicista fatto e finito: vena melodica straordinaria, orchestrazione suggestiva, tecnica ineccepibile.

Ma Eugène Cormon e Michel Carré gli rifilano un testo di autentica idiozia. Non so se sia vero il noto aneddoto secondo il quale se ne siano poi “pentiti” e, dopo aver ascoltato la musica, abbiano ammesso che meritava delle parole migliori. Certo è che se non è vero è ben trovato. Ed è altrettanto certo che solo la debolezza drammaturgica di quest’opera ne ha (relativamente) limitato la circolazione.

La necessità della regia

È qui, allora, che dovrebbe intervenire la regia. Intendiamoci: la regia deve “intervenire”, nel senso di interpretare, sempre, e se qualche veterologgionista isterico tipo Parma cotto non gradisce, pazienza. Ma mai come per questi titoli che dal punto di vista drammaturgico fanno fatica a stare in piedi è necessaria una regia che ci scopra, o alla peggio ci inventi, le ragioni del teatro. Cercando in quel passato gli interessi del presente, che ovviamente non possono essere, nell’epoca di Internet e del jet, quelli di un esotismo di cartapesta modello Disneyland.

Non si tratta di “tradire” Bizet ma, in questo caso, di farlo vivere. Altrimenti è davvero molto meglio mettere tutti in frac e abito lungo e farsi solleticare le orecchie dalle squisitezze del Nostro, invece di farsi ferire gli occhi con l’ostensione compiaciuta della stupidità.

Foto Ph. Edoardo Piva

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