Considerazioni religiose a parte per chi ci crede, ogni persona dabbene ovviamente odia il Natale (e anche i cani, i bambini, le vecchie e in generale i buoni sentimenti). La melassa appiccicaticcia che tracima da ogni possibile medium, le reiterate cene con presunti amici e colleghi per lo più detestabili che vorremmo sì portare a cena, ma a casa Borgia, gli auguri di gente per la quale nel nostro foro interiore auspichiamo un attacco di peste nera, le riunioni di famiglia che fanno rimpiangere quelle degli Atridi, i pistolotti benauguranti di papi, regine, presidenti, i film di Natale, le code nei negozi, gli intasamenti del traffico, l’eventuale neve che è “così carina” unicamente dai 1.500 metri in su, tutto concorre a rendere questa la peggiore di tutte le ricorrenze e la meno celebranda di tutte le feste.
E tuttavia, a riprova che i miracoli esistono, ma soltanto in musica, quest’anno un po’ di Natale “vero” l’abbiamo trovato. Non in chiesa o forse sì, se pensiamo che il teatro è la chiesa laica degli uomini civilizzati. Il Natale quest’anno l’abbiamo capito e festeggiato alla Scala, dove John Eliot Gardiner ha diretto, o forse officiato, di certo celebrato “L’enfance du Christ” di Berlioz.
Perché questo “oratorio”, chiamiamolo così (Berlioz preferisce “trilogia sacra”) non sia presente di più nei cartelloni è un mistero doloroso. A me è sempre sembrato un capolavoro anche se, come molta musica sacra ottocentesca, pensiamo allo “Stabat” di Rossini o agli oratori neo-veterotestamentari di Mendelssohn, dà l’impressione di un pastiche.
Magari lo è pure, ma sicuramente cucinato benissimo. Certo va diretto, suonato e cantato come hanno fatto Gardiner, i complessi della Scala e i solisti, fra i quali bisogna segnalare l’eccellente tenore Allan Clayton che fa il Récitant come un Evangelista di Bach che ha sbagliato strada ed è sbucato all’Opéra-Comique invece che alla Thomaskirche.
Bello, bello, bello. Ed è qui, annegando felici in questi “fiumi di divina tenerezza” (copyright di Gounod), che abbiamo davvero gustato la misteriosa dolcezza del Natale, che in fin dei conti è la storia di un Bambino che si carica sulle spalle l’infinito dolore del mondo.
Ah, a proposito: buon Natale.
Foto di copertina Ph. Brescia e Amisano