Il ritorno alla Scala del balletto Onegin con Roberto Bolle rinnova il successo di un dance drama che a John Cranko riuscì perfetto. Per nulla gravato dalla reverenza letteraria al romanzo in versi di Puškin né dalla sudditanza musicale all’opera lirica di Čajkovskij, topoi entrambi della coscienza culturale russa.
Il debutto nel 1965
Al debutto nel 1965, con una partitura efficacemente composta da pagine varie di Čajkovskij, le critiche non mancarono. Ma il coreografo, sudafricano di nascita, britannico per formazione, mise in scena un balletto che cogliendo lo spirito nazionale russo (tanto da essere di recente entrato nel repertorio del Teatro Bol’šoj) sa parlare empaticamente alle platee di ogni latitudine.
Ai suoi interpreti si chiede altrettanto. Un’immedesimazione nei ruoli che è prima di tutto fisica, incentrata su volti e fisionomie nei quali possiamo ritrovare le figure letterarie. Ma anche un’esperienza artistica, culturale e fors’anche di vita che permetta agli stessi danzatori di riconoscersi in Evgenij, Tat’jana, Lenskij, Ol’ga. A presentarli basterà una variazione, ritratto danzato del carattere di ognuno, carico di presagi dello sviluppo drammatico.
Roberto Bolle nel primo cast
Nel primo cast scaligero Roberto Bolle ha per natura le stigmate fisiche e caratteriali di un odierno Evgenij. Irraggiungibile per bellezza altera, il suo tratto narcisistico è evoluzione contemporanea del nichilismo romantico russo.
La pienezza artistica raggiunta negli anni dalla nostra Étoile è racchiusa nell’ultimo atto, in quello sguardo gravato dai fantasmi del passato che anche dai palchi lontani avranno colto i fans espositori dello striscione da stadio con la scritta: “Sei il nostro Onegin”.
Alla prima Tat’jana è l’argentina Marianela Nuñez, Principal dancer del Royal Ballet, lontana per aspetto e temperamento dalla figura che la letteratura e la musica ritraggono. Brillante técnicienne e vigorosa interprete più che trepida fanciulla e poi austera dama, incarnazione archetipica della femminilità russa.
Quell’afflato ineffabile manca, così come il leggiadro plasticismo con cui la coreografia traduce l’essenza dell’indole di Tat’jana, nelle variazioni, nei tableaux recitativi e soprattutto nei pas de deux.
Completa il primo cast una coppia di deuteragonisti perfettamente scelta tra il corpo di ballo. Ol’ga, sorella di Tat’jana, è la solare Alessandra Vassallo, che ben rende la colpevole sventatezza del suo personaggio. Lenskij, amico di Onegin, è il lettone Timofej Andrijashenko, cui bastano i tratti slavi e l’eleganza melanconica per restituirci l’immagine ideale del giovane poeta russo.
Immagine di copertina Ph. Brescia e Amisano – Teatro alla Scala