Sulla scena Rihoko Sato è danzatrice di ineffabile cinetica e souplesse, musa del coreografo giapponese Saburo Teshigawara e anima della compagnia Karas (Corvo). Nella vita è una giovane donna di toccante delicatezza, astratta creatura nerovestita, ansiosa di esplorare orizzonti profondi e sensibili.
A un’infanzia girovaga Rihoko deve il suo sguardo aperto, come ci racconta con intensità: «Ho vissuto in Inghilterra e negli Stati Uniti fino all’età di quindici anni, al seguito di mio padre, giornalista per un quotidiano finanziario. Assorbire naturalmente altri modi di vivere mi ha lasciato un grande dono: mi ha resa neutrale nel vedere le culture e le persone, capace di sentire la natura reale delle cose. Forse è per questo che trovo ogni essere umano e ogni corpo così unico e interessante. Il privilegio di una vita come la mia mi ha resa anche indipendente, capace di riconoscere i diversi ambienti intorno a me e nello stesso tempo molto vicina alla mia interiorità».
Dopo una formazione anglosassone in ginnastica artistica, Rihoko era alla ricerca di qualcosa di ancora indefinito, che improvvisamente si rivelò essere la danza. «Volevo esprimermi: il corpo mi era sempre stato molto vicino, ma desideravo sentirlo in un modo non possibile nella vita quotidiana. Intuivo che la danza fosse la strada, ma lo seppi con certezza solo quando incontrai Saburo: un mondo a se stante, un universo totale. Da allora continuo ad esplorare il vocabolario della danza e il modo di esprimerlo, non semplicemente attraverso un pezzo coreografico. È ancora un’idea, ma vorrei farlo con le parole: no, non recitate, ma pensate e forse scritte, per svelare la danza, ma anche altri sensi vicini al mio essere ancora inespressi».
Come da bambina, Rihoko con Karas è tuttora in viaggio, per almeno metà dell’anno: «Da allora non mi sento a casa in nessun luogo, o forse nessun luogo può essere casa mia» confida. Anche in Italia torna spesso: di recente l’abbiamo vista al Teatro dell’Arte di Milano, in una pièce a lei dedicata, She. Un assolo di abissale virtuosismo in cui Teshigawara la conduce alla scoperta di se stessa, danzante nella natura di Faro, l’isola svedese dove viveva Ingmar Bergman, o intenta a declamare brani da L’Uomo senza qualità di Robert Musil, riflessa in uno specchio scuro.
Presto ritroveremo Rihoko Sato in una nuova veste, che è lei stessa ad annunciarci: «Creerò una coreografia per Aterballetto: ho già incontrato i danzatori per un workshop, proveremo dalla prossima primavera per il debutto, a settembre 2019. Sono molto emozionata: sarà la mia prima coreografia».
Un altro modo per rivelare il suo mondo interiore.
Foto Ph. Sakae Oguma – Aya Sakaguchi