Un fremito di glamour seducente ha attraversato Milano per il ritorno al Teatro Nuovo del Crazy Horse in tournée. Lo show Forever Crazy ha confermato la linea artistica delle ultime stagioni del leggendario cabaret, meno prude e più entertainment sotto la direzione di una donna, Andrée Deissenberg, e del suo board tutto al femminile.
Al di là della bellezza e del sex appeal, le 40 “Crazy girls” sono vere ballerine, cui è richiesta, oltre le misure canoniche e un certo “je ne sais quoi”, una rigida formazione di danza classica. Che dietro l’andatura ammiccate sui tacchi altissimi si nota nella schiena in cambré, nelle gambe lanciate a 180°, nelle evoluzioni ai pali della lap dance. Nonché nella capacità di danzare in una scena minuscola, di appena 2 metri di altezza per 6 di larghezza e 3 di profondità, che le incornicia graziosamente. Distratti da seni vezzosi e glutei scolpiti, molti spettatori non si saranno accorti che a firmare i numeri più belli del “best of” è Philippe Decouflé, nome di spicco della nouvelle danse francese, ingaggiato dalla direttrice proprio per spazzar via una certa idea agé del Crazy Horse.
Già autore di due show per il Cirque du Soleil e di videoclip musicali, noto per aver firmato le cerimonie dei giochi olimpici di Albertville, il coreografo francese ha un gusto visivo da diaporama. Vestite di luci colorate negli assoli Crisis! What crisis? e Rougir de désir, le protagoniste si spogliano su una coreografia minuta eppure scatenata intorno a oggetti feticcio, una scrivania e una sella da caw-boy, mentre in Streptease-moi sono in due, una en travesti maschile, a danzare allusivamente su un canapè a forma di bocca scarlatta. Se in Upside down l’effetto caleidoscopico degli specchi è parte dell’invenzione coreografica, Glamazones evoca le vecchie giostre francesi con le ballerine trasformate in cavallini grazie a code colorate, mentre Scanner è un ballo d’insieme grintoso con i suoi riflessi tecnologici.
La via della coreografia d’autore è dunque segnata per il corpo di ballo del Crazy Horse, anche se restano entusiasmanti gli storici numeri del fondatore Alain Bernardin, ovvero l’apertura God save our bareshin e il finale U turn me on.