La “Pathétique” secondo Petrenko e i Berliner in un cd d’eccezione

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Kirill Petrenko, il nuovo acclamatissimo Chief Conductor dei Berliner Philharmoniker (eletto democraticamente dall’orchestra tedesca nel 2015 e appena entrato in carica), è un musicista solido e rigoroso, estraneo a mode e vessilli e poco incline all’esposizione mediatica.

Con i concerti del 23 e 24 agosto (quest’ultimo all’aperto davanti alla porta di Brandeburgo per ricordare il trentennale dalla caduta del Muro – trasmesso in diretta sulla Digital Concert Hall, spazio virtuale da cui si possono seguire in rete tutti i concerti dei Berliner) è avvenuto il suo debutto “istituzionale” alla guida dei Berliner.

Il debutto ‘istituzionale’ di Petrenko a capo dei Berliner Philharmoniker

Petrenko, nel suo debutto ‘istituzionale’ alla guida dei Berliner, viene riconosciuto non solo come direttore d’orchestra limpido e vitale, ma anche come simbolo dei vincoli di pace, memoria e condivisione che in Germania e nel resto d’Europa oggi dovrebbero essere rivendicati più che mai.

Il maestro russo naturalizzato austriaco (nato a Omsk, in Siberia, nel 1972) è un interprete colto e magnetico, che allo studio di registrazione preferisce di gran lunga il contatto con il pubblico. In effetti per essere un direttore dal profilo internazionale ormai riconosciuto, Petrenko ha una discografia piuttosto ridotta, alcune registrazioni della musica di Josef Suk, un paio di opere e poco altro (tra cui uno dei lavori di John Adams nella edizione integrale delle sue opere a cura dei Berliner Philharmoniker uscita nel 2018).

Tchaikovsky per il primo CD con i Berliner

Ciò cambierà, immaginiamo, radicalmente proprio a partire  dall’investitura ufficiale a capo dei Berliner. Un esempio di ciò che ci aspetta è l’interpretazione della Sesta sinfonia di Tchaikovsky, la celebre Pathétique, registrata in occasione del primo concerto diretto da Petrenko con l’orchestra berlinese poco dopo l’annuncio della sua nomina nel marzo 2017.

Autoprodotto dalla stessa orchestra, il CD (SACD) è testimonianza di un evento considerato di grande intensità emotiva dallo stesso Petrenko. Pur restìo a ‘congelare’ le proprie interpretazioni live in un supporto audio, il direttore russo ha ritenuto quel concerto un momento fondamentale del suo rapporto con i Berliner e pertanto degno di essere ricordato in una registrazione (peraltro di livello eccelso dal punto di vista dell’ingegneria del suono).

 

La cultura interpretativa di Petrenko

L’interpretazione di Petrenko rivela tutta la sua cultura interpretativa, il suo amore per le incisioni ‘storiche’ monoaurali che lui, come si legge nel lussuoso booklet, ‘divora’, considerandole musicalmente più ‘autentiche’ in quanto i due momenti della performance e della produzione quasi coincidono.

Lontano anni luce dalla foga di Ferenc Fricsay con gli stessi Berliner nel 1953, ma anche dal calore composto del Karajan degli anni viennesi (la registrazione del 1949, con l’inarrivabile rubato e la pienezza dei suoni pedale), il punto di riferimento di Petrenko non può che essere il leggendario Mravinsky a capo dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado nelle registrazioni viennesi (1956) e soprattutto londinesi (1960), prive di qualunque sentimentalismo anche nell’impiego umbratile del rubato, eppure di rara intensità emotiva.

Passione trattenuta e mistero

La rinuncia al facile sentimentalismo caratterizza anche l’interpretazione di Petrenko. L’impianto ‘drammaturgico’ sotteso alla sinfonia, dichiara Petrenko, è una sorta di retrospettiva onirica, di narrazione in flashback di tutta una vita ma quasi a partire ‘dal letto di morte’.

Ne deriva un controllo acribico dell’espressività dell’orchestra che nel primo movimento, ’Adagio – Allegro non troppo, si manifesta dapprima per mezzo di una passione trattenuta, per poi irrompere in tutto il suo temperamento nell’improvviso attacco dello sviluppo. Prevale nell’intepretazione di Petrenko una sorta di sottotono di mistero e disagio pur nell’alta tensione emotiva della performance dal vivo.

Anche nell’Allegro con grazia, il fraseggio composto di un valzer viennese d’altri tempi lascia il posto nella sezione centrale all’elemento perturbante. L’ambiguità dei significati caratterizza anche la marcia dell’Allegro molto vivace, il movimento che funge da Scherzo, in cui il virtuosismo e la precisione non mascherano l’impossibilità di trovare una senso univoco all’apparente trionfo che potrebbe essere pure corsa verso il baratro.

Uno struggimento melanconico e a tratti amaro pervade il Finale Adagio lamentoso della Sinfonia, che sembra non voler decollare mai verso toni di pura commozione come nella memorabile impresa di Mravinsky, ma che si esprime con un’articolazione iperespressiva, franta e rotta da singulti, le lunghe pause che sospendono un discorso asciutto e privo di facile retorica.

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