Les contes d’Hoffmann: La Monnaie di Bruxelles celebra Offenbach

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Alla fine, anche La Monnaie di Bruxelles ha voluto dire la sua: a chiusura di un anno operistico – il 2019 – dedicato a Jacques Offenbach in occasione del 200° anniversario dalla sua nascita, il massimo teatro belga è riuscito a prendersi il suo spazio e rubare gli ultimi riflettori fino a quel momento rivolti verso i palcoscenici francotedeschi, fin da subito in prima linea nel nome del “loro” compositore (più di sessanta produzioni in totale da gennaio scorso).

Il titolo prescelto per l’occasione, forse un po’ scontato per chi sperava in una redécouverte più stuzzicante dallo sterminato catalogo di Offenbach, è stato Les contes d’Hoffmann: una produzione che, al di là dei suoi protagonisti (a partire da Eric Cutler nei panni del poeta e Patricia Petibon nel quadruplice ruolo femminile), arricchisce di nuove prospettive quello che è considerato ormai il capolavoro di Offenbach.

La regia pensata da Krzysztof Warlikowski affronta Les contes d’Hoffmann con uno sguardo che ne modifica la struttura drammaturgica. Hoffmann, alter ego di Riggan Thomson, protagonista del film Birdman (Iñárritu, 2014), uomo distrutto dalla propria condotta geniale e sregolata, viene esortato a vestire i panni del regista dei propri racconti servendosi dei commensali nella taverna di Luther.

Nasce un gioco meta-teatrale e auto-rappresentativo dal forte sapore pirandelliano: rappresentazione e realtà si intrecciano fino all’epilogo, quando, per un breve istante, giungono a toccarsi. Hoffmann, ubriaco e in stato confusionale, continua a filmare senza staccarsi dalla cinepresa nella speranza che la vita sia ancora illusione e il presente passato lontano.

Se nel palcoscenico l’Offenbach secondo Warlikowski risveglia traumi e rimossi, in sala genera invece un senso di smarrimento davanti a una scena dove – spiega lo stesso Warlikowski – ‘temps et espace ne sont que les vestiges d’une mosaïque détruite’: una distruzione interiore di cui Hoffmann è la prima e unica vittima.

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