La stagione 20014/15 ha visto in scena per l’ultima volta al Royal Opera House, lo storico allestimento della Bohème con la regia di John Copley e le scenografie di Julia Trevelyan Oman, che debuttò per la prima volta nel 1974. Dal 2017 un nuovo allestimento della famosa Opera di Giacomo Puccini ha fatto il suo ingresso nel calendario del teatro londinese, con la regia di Richard Jones e le scene e i costumi realizzati dallo scozzese Stewart Laing, che propongono un’ambientazione alquanto poetica dell’opera pucciniana.
Lo scenografo Stewart Laing con questa produzione ha fatto il suo debutto sul palco del Covent Garden, ma non era la prima volta che realizzava scene per il teatro d’opera. Ha infatti lavorato più volte con Jones. È loro, ad esempio, l’allestimento di Peter Grimes di Benjamin Britten andato in scena alla Scala nel 2012. Laing è anche un regista affermato che collabora con diverse istituzioni e tra le sue varie regie troviamo proprio La Bohème allestita per la Scottish Opera.
Cosa distingue il tuo lavoro come scenografo quando sei coinvolto nella messa in scena di un’opera rispetto ad altri generi?
Il mio approccio è lo stesso, ma penso che l’opera sia più spettacolare. Si ha sempre in mente lo spettacolo quando si fa un’opera, si sa che c’è una grande aspettativa, ci sono più soldi in ballo, più persone sul palco. Quindi ho in mente un progetto più ampio rispetto a quando faccio teatro.
Ti sei confrontato con La bohème di Puccini sia come regista che come scenografo. Ci puoi descrivere qual è la principale sfida di questi due ruoli riguardo alla messa in scena di quest’opera?
Penso che la principale sfida sia sempre quella di trovare un mondo credibile. Inoltre, credo che rispetto alla Bohème, una cosa di cui non si parla mai, è la difficoltà di mostrare la povertà sul palcoscenico operistico, come se fosse una cosa strana da fare. Noi con questa messa in scena volevamo realizzare qualcosa che non distogliesse l’attenzione dalla povertà.
In qualità di scenografo tu collabori esclusivamente con Richard Jones, perché?
La maggior parte delle volte sono io a dirigere le produzioni in cui sono coinvolto e Richard è l’unico regista con cui riesco a instaurare una conversazione stimolante. Ogni volta che mi propone progetti, questi sono di solito davvero molto eccitanti da realizzare, come La bohème per la Royal Opera House. Entrambi avevamo già lavorato su quest’opera, la conoscevamo bene e di conseguenza tutto il processo di realizzazione per questa messa in scena è stato piacevole. Il teatro inoltre voleva un allestimento che potesse durare nel tempo, ed è stato per me una sfida avvincente.
L’opera si apre nella soffitta degli artisti a Parigi. Uno spazio che tu proponi semplice, una mansarda spoglia, illuminata, che si può facilmente descrivere come minimalista. Ci puoi descrivere perché hai scelto di rappresentare questo primo quadro in questo modo?
Ho visto produzioni della Bohème in cui la soffitta era enorme, e mi sono sempre chiesto, come potessero i personaggi, che sono persone che non hanno molti soldi, permettersi un appartamento così grande. Di conseguenza una delle prime scelte che abbiamo dovuto fare è stata quella di proporre uno spazio dalle dimensioni credibili, ma che funzionasse nel contesto di un enorme palcoscenico d’opera. In realtà questa è stata una delle scelte più difficili da fare, e mi sono basato su un’immagine che ho trovato su internet, un modello del diciannovesimo secolo su come costruire un tetto e questo quadro si basa su quel modello.

È voluto il contrasto tra la povertà monocromatica del primo quadro e la vivacità data da ogni tipo di forma e colore delle strade parigine nel quartiere latino del secondo?
È voluto ed è forte proprio per creare contrasto tra lo spazio spoglio del primo quadro e uno spazio affollato in quello successivo, dove l’intento principale è quello di mostrare la gente che fa shopping. Parigi nel primo Ottocento era una città avanzatissima, dove si inventa un nuovo modo di acquistare, mi riferisco ai passage, le gallerie commerciali. Quello che abbiamo cercato di trasmettere si basa proprio sul fatto che fare shopping nelle gallerie era una cosa nuova all’epoca. Quindi si, c’è questa contrapposizione, tra la povertà del primo quadro e la ricchezza rappresentata dallo shopping nel secondo.

Qual è l’aspetto che rende La bohème un’opera unica da mettere in scena?
Penso che la storia sia emotivamente vera e per questa ragione la gente è ancora interessata. L’essenza dell’opera è abbastanza moderna e credibile, perché affronta le questioni delle relazioni umane, e questa è la ragione per cui si continua a produrla dopo oltre 120 anni dalla sua composizione.