Lo scorso novembre, a 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, Goodbye, Lenin! è ricomparso al cinema e avere occasione di rivederlo è stato sublime.
La commedia di Wolfgang Becker, con protagonista Daniel Brühl, è un affresco in bilico tra surreale e onirico, sentimentale e ironico, di quei giorni che hanno visto la Germania, e il mondo intero, cambiare per sempre. Emblematica, a tal proposito, una frase del film: “Venne la primavera, che fece di Berlino il posto più bello dell’universo”.
La firma di Yann Tiersen
La colonna sonora di Goodbye, Lenin! è firmata da Yann Tiersen e, a dalle prime note, emerge quella sospensione su tonalità minori che caratterizza l’intera pellicola, una virata malinconica intervallata da momenti buffi, a tratti grotteschi, e spezzata da scene intense.
Le musiche del film sono racchiuse tra due poli, marcati da Summer 78 (cantata da Claire Pichet): inizio e fine del film si muovono così su arrangiamenti strutturati con coerenza diegetica, che prendono forma in diversi brani, quasi tutti originali. E il tema principale si dipana in molti di questi, come nel tiepido First Rendez-Vous. L’abilità di Tiersen emerge poi nel piegare la materia musicale all’attimo rappresentato, cogliendo le sfumature di una trama apparentemente semplice, ma fondata su contrasti psicologici ed emotivi, sprigionando pensieri e stati d’animo dei personaggi.
Il respiro strumentale
Denominatore comune nello svolgersi della colonna sonora è il piano, i cui tocchi, similmente al nucleo principale del tema, punteggiano l’intera colonna sonora in un amalgama coerente. Accanto al piano, non mancano archi, persino un vibrafono, nonché fiati e ottoni. Questi ultimi intervengono specie nel sottolineare l’ironia delle bande in marcia, strenua difesa di un mondo ormai in dissoluzione. Le due famiglie strumentali, non a caso, irrompono nell’evidenziare gli attimi fondamentali di un’epoca, ad esempio con The Deutsche Mark Is Coming e Preparations for the Last TV Fake.
Inoltre, se il dono di Tiersen è saper scavare nell’animo di personaggi e spettatori, sono brani più intimi come Letters e Mother Will Die a muovere le coscienze e trascinare il semplice osservatore all’interno della storia.
A proposito di strumenti, la fisarmonica (e quel sapore francese condensato nel suo suono) è firma distintiva di Tiersen per ll favoloso mondo di Amélie, uscito solo un anno prima. In Goodbye, Lenin! la caratterizzazione espressiva non si limita invece a un unico strumento: qui il respiro nella scelta delle tonalità è orchestrale, a dipingere un quadro, umano e storico, più ampio e universale.
Le citazioni: tra Jeunet e Kubrick
Tornando ad Amélie, arriva da qui uno scampolo del brano Comptine d’un autre été: L’après-midi che Tiersen accenna anche nel film di Becker, recuperando la propria materia sonora e inserendola in un contesto del tutto differente, ma ugualmente carico di emozione.
Appaiono poi altre due citazioni che non passano certo inosservate, quelle a due capolavori di Stanley Kubrick: il primo è il classico Strauss da 2001: odissea nello spazio, a sottolineare (non a caso) le velleità registiche di uno dei personaggi del film. Arriva poi anche il turno di Arancia Meccanica con la fanfara di ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. In questo caso, la citazione non è solo sonora: anche la scena, proprio come quella dell’orgia nel film di Kubrick, è realizzata a velocità aumentata, sebbene, con Becker, i protagonisti siano due ragazzi intenti ad assemblare una camera da letto.
La colonna sonora di Goodbye, Lenin! meriterebbe un’ampia e dettagliata trattazione a sé, ciò che si può sostenere è che poggi sui contrasti, sia instillata di ironia, pulsi vibrante in ogni scena, nello stato d’animo delle prove attoriali così come nell’eleganza della sceneggiatura. Una storia dolceamara che racconta la fine di un universo familiare e l’inizio di una nuova era. Una storia, con una musica, incredibilmente attuale.