Britten: Casa di bambole in scena alla Scala

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Un movimento di sipario alla tedesca svela un’ampia porzione (decentrata) di palcoscenico; in essa un pianoforte, un corpo penzolante dalla graticcia e una maschera infantile proiettata sul fondo: è questo il contesto in cui si trova il Prologo, funzione fatta persona (o meglio cantante) che subito definisce The turn of the screw di Benjamin Britten (già di Henry James) «una strana storia, scritta con inchiostro sbiadito».

Britten al Teatro alla Scala

Erano forti le aspettative per questa nuova produzione del Teatro alla Scala (repliche sino al 17 di ottobre) di uno dei capolavori indiscussi del Novecento, e destava curiosità forse più che la direzione di Christoph Eschenbach o la regia di Kasper Holten la presenza, nel cast, di un fuoriclasse come Ian Bostridge nei panni di Peter Quint. Accanto a lui Miah Persson (The Governess), Jennifer Johnston (Mrs. Grose), Allison Cook (Miss Jessel) e i due bambini Sebastian Exall (Miles) e Louise Moseley (Flora).

Il luogo scenico è declinato da Holten come una casa di bambole: molteplici spazi (di differente misura) si sovrappongono e contendono la visibilità. Attraverso un sistema di quinte mobili, che funge da diaframma, la porzione del visibile è, infatti, continuamente ridefinita attraverso una serie di “dissolvenze” che danno ritmo alla dialettica tra linee orizzontali e verticali sullo stage.

Christoph Eschenbach sul podio

Manca però, da parte della regia, il coraggio di non “sporcare continuamente la lavagna”. Così anche la messa in figura più suggestiva, un letto verticale che sembra sfidare le leggi di gravità, è contrappuntata da proiezioni che, in effetti, poco aggiungono alla visione e molto sottraggono al rigore linguistico. Senza sbavature, invece, la resa musicale dell’ensemble cameristico sotto l’egida di Eschenbach, intento a valorizzare con cura le colorature e gli accenti che innervano la partitura.

In chiaroscuro la prova di Bostridge, capace di raffinato fraseggio ma privo del physique du rôle necessario per la parte del demoniaco Quint. Neanche la Persson è ineccepibile. Seppur convincente sulla scena la voce manca di rotondità. Buona la prova di Johnston, Cook e dei due fanciulli.

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