Al Romaeuropa Festival un Robert Lepage in pericolo

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Robert Lepage ha inaugurato alcuni giorni fa la trentesima edizione del Romaeuropa Festival con “887” (23-26 settembre), spettacolo da lui ideato, messo in scena e interpretato. Dopo “Les aiguilles et l’opium” (REF 1997) e “The Andersen Project” (REF 2006) l’artista quebecchese, tra le voci più apprezzate della drammaturgia contemporanea, è tornato nella città eterna.

Robert Lepage al REF

Un’entrata in scena, ex abrupto, per comunicare alcune “istruzioni per l’uso” come «vi ricordo di spegnere i cellulari» oppure «la toilette si trova in fondo a destra». Dopodiché, senza soluzione di continuità, comincia l’autentico prologo in cui l’artista definisce la genesi dello spettacolo.

Galeotto fu il Festival dei 40 anni della poesia contemporanea in Québec, nel quale Lepage doveva recitare una poesia di Michèle Lalonde (“Speak white”) che faceva riferimento alle vicende del Québec separatista.

Le difficoltà da lui incontrate per metterla in memoria creano uno spazio di riflessione interiore. Un flusso di coscienza che diviene testo-spettacolo in cui l’artista ripercorre le sue vicende personali collegando l’autobiografia alla storia (collettiva) del suo paese.

Alti e bassi

Non basta però l’indubbia abilità di Lepage come storyteller per salvare un racconto ininterrotto (due ore e mezza filate) dalla fragile e noiosa drammaturgia. La scena girevole, costantemente agita e animata dal performer, decreta l’eterno ritorno dell’uguale (seppur multimediale).

Sono pochi i momenti pateticamente seducenti. Mi riferisco al ricordo di un padre distratto messo in voce sulle note del Notturno Op. 48 n. 1 in do minore (di Chopin). Ancora l’omaggio a un primigenio (e sempre suggestivo) teatro delle ombre in cui ammiriamo la sapienza del gesto. Infine la proclamazione, sul finale, di “Speak white”, in cui Lepage si affranca dalla monotonia precedente per abbandonarsi a uno slancio dinamico fin troppo agognato.

Merito comunque al Romaeuropa Festival per il ricco cartellone 2015 appena iniziato e a Robert Lepage perché ancora una volta, come lui stesso confessa, «ha accettato di mettersi in pericolo».

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