Al Cinema la Norma del MET: intervista a Carlo Rizzi

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Con la Norma di Bellini si apre la stagione cinematografica del Metropolitan di New York. Al Maestro Carlo Rizzi abbiamo chiesto di svelarci i segreti della scrittura belliniana.

La Norma di Bellini al MET

Maestro Rizzi, quali sono le particolarità della scrittura musicale belliniana?

Se ci chiediamo come mai un musicista come Wagner, che adottava sempre una struttura ben organizzata, amasse un’opera “semplice” come Norma, la risposta sta sicuramente nella capacità che aveva Bellini di esprimere in maniera musicale il contenuto drammaturgico dell’opera. Penso all’inizio del secondo atto. All’introduzione musicale squisita cui segue la scena di Norma nel pieno del suo conflitto interiore, e che sfocia nel famoso duetto con Adalgisa, a sua volta preceduto da un recitativo molto esteso.

Qui sta l’aspetto interessante: il recitativo di per sé è molto semplice, ci sono la frase musicale e l’accordo dell’orchestra. Ma per gli accordi ci sono diverse indicazioni dinamiche, “piano”, “forte”, alcuni sono lunghi altri corti. Altri ancora appoggiati, ed è questa la chiave di lettura dal punto di vista drammaturgico della partitura nonché la particolarità della scrittura di Bellini. Oltre, naturalmente, alla bellezza assoluta della melodia.

Lo stesso Verdi diceva di Bellini che secondo lui non era un grande orchestratore, ma dal punto di vista delle melodie era favoloso. In sintesi credo la grandezza di un’opera come Norma sia non solo nella scrittura, nella melodia, nel lirismo musicale ma anche e soprattutto nella sua valenza drammatica.

L’orchestrazione belliniana

Bellini come tratta le sezioni orchestrali? Come valorizza i diversi timbri e colori?

Come dicevo, Bellini non è un grande innovatore dal punto di vista orchestrale, ma aveva sicuramente un orecchio sopraffino. Non solo per le melodie in sé ma anche per il timbro che voleva dare alle specifiche melodie o a una certa frase musicale.  Ed è interessante notare come, nello strumentale belliniano, il flauto e il clarinetto ­­­– quindi strumenti ad ancia semplice, non ad ancia doppia ­­­– la facciano da padroni.

L’oboe e il fagotto che potrebbero avere un suono più penetrante, sono usati meno, mentre in maniera solistica, soprattutto il flauto – non dimentichiamoci della bellissima introduzione di Casta Diva che è interamente affidata al flauto – e il clarinetto, hanno un tipo di sonorità più vellutata. Questo rispecchia il modo in cui Bellini voleva che fosse cantata la melodia, la frase. Non ci sono grandi innovazioni strumentali in Norma, bisogna però tener presente che, come in tutto il bel canto, ma ancor di più in quest’opera, l’orchestra ha una funzione principe nel portare avanti il discorso e la struttura musicali.

Dico sempre che è un po’ come in un Notturno di Chopin in cui la mano destra esprime la linea melodica, gli arabeschi, mentre la sinistra sottolinea la melodia, ma se la sinistra non è leggera, elastica, fluttuante, la mano destra non può fare ciò che dovrebbe, cioè cantare in piena libertà.

Tre cantanti per Norma

Il ruolo della protagonista, in origine scritto per la Pasta, è un banco di prova per qualsiasi soprano. Nella produzione che sta per debuttare al MET ci sono tre cantanti in alternanza per la parte: Rebeka, Meade, Radvanovsky. Come avete lavorato? Quali le peculiarità di ciascuna interprete?

Nella serie di repliche al Metropolitan Opera, ho lavorato con Sandra Radvanovsky (nella foto), che ha aperto con le prime cinque recite e con Marina Rebeka. Naturalmente ogni interprete ha dei suoi punti di forza e dei punti deboli. Quindi è importante considerare il tipo di ruolo che si deve interpretare. Quello di Norma che è un ruolo impossibile, non solo per l’estensione vocale richiesta, ma anche per il tipo di vocalità che deve saper passare, ad esempio, dal lirismo assoluto di Casta Diva a un’articolazione molto più drammatica solo due o tre pagine dopo, un’articolazione quasi rossiniana.

E dico quasi perché le colorature belliniane, quelle presenti in Norma, vanno eseguite con una carica ancor più drammatica che in Rossini, pensando molto all’accento, alla parola e al senso di essa. Di sicuro è molto difficile trovare interpreti per il ruolo della protagonista, che è un personaggio molto sfaccettato, dovendo passare da momenti dolcissimi, alla disperazione, al perdono. Fino ad arrivare, seppur in una sola pagina, alla gioia e poi al suo immolarsi per amore. E questi contrasti devono riflettersi, naturalmente, in un modo adeguato e diverso di cantare.

Un dramma intimo

Dramma intimo o tragedia epica? Come definirebbe Norma?

Questa è una riflessione interessante… Non è facile dare una risposta. Se penso al duetto finale tra Norma e Pollione, nel momento in cui Pollione la implora di vendicarsi uccidendo lui solamente, la dimensione è decisamente personale, intima: abbiamo sulla scena Norma, Pollione, i suoi figli e Adalgisa. Ma Norma ora vuole che tutti i romani siano distrutti: la vendetta si allarga dalla persona singola a un intero popolo, diventando quasi uno sterminio, che è esattamente il vocabolo scelto da Norma all’arrivo dei Galli per dichiarare la sua guerra.

Penso che sia dunque un dramma molto intimo: tutte le azioni che Norma fa o non fa sono dettate dal suo amore verso Pollione, ma essendo Norma una sacerdotessa, e quindi una figura pubblica, qualsiasi decisione lei prenda, avrà valenza collettiva. Ad esempio, è chiaro sin dall’inizio che i Galli vogliano combattere contro i Romani, ma sono frenati dalla parola della sacerdotessa che suggerisce di aspettare e non solo per ragioni politiche, ma anche perché lei è innamorata di Pollione. Le due sfere, insomma, sono sempre legate ma se devo “scegliere” tra dramma personale e guerra tra nazioni, dico senz’altro dramma personale.

Appuntamento al Cinema stasera (19.45) per una produzione d’eccezione!

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