Ho già parlato del “modo partecipativo” nell’opera commentando l’Inferno del Teatro delle Albe (rileggetevi quel post, please). Che l’opera contenga un’altissima “potenzialità partecipativa” a vocazione “utopistica” è un fatto sul quale bisognerebbe ritornare.
Ma all’utopismo, come dicevo a proposito di Inferno, si associa nel Novecento una componente politica e sociale che sembra meno compatibile con il modello evasivo-consolatorio spesso associato alla fruizione dell’opera. Non a caso Brecht odiava l’opera. Ma con il “teatro di regia” Brecht è entrato nell’opera. Basti pensare (siamo nel 1984) al rossiniano Viaggio a Reims “di” Luca Ronconi che si svolgeva anche fuori dal teatro, in mezzo al pubblico cittadino più o meno colto di sorpresa.
Il 21 ottobre sono stato a Parma per vedere la mia opera preferita del Verdi “minore” (ma esiste?): Stiffelio. Ad attirarmi è stata l’opzione “partecipativa” scelta dal regista Graham Vick: l’azione scenica si svolgeva infatti in mezzo al pubblico, su delle piattaforme mobili, sulle quali si esibivano i cantanti-attori, mentre il coro si mescolava letteralmente a noi spettatori tutti rigorosamente in piedi nella platea del meraviglioso teatro Farnese.
L’effetto, molto “anni ’70”, era enormemente amplificato dal taglio attualizzante della regia: Stiffelio non è più un pastore protestante ma il leader di una setta fondamentalista contemporanea, portatrice di un orrendo familismo omofobo e fascistoide. Ci si poteva muovere liberamente e quasi tutti riprendevano lo spettacolo coi telefonini (cosa vietatissima nei teatri d’opera) perché è questa, oggi, la vera partecipazione: una partecipazione “mediatizzata”.
D’altronde che fossimo ben lontani dal clima culturale degli anni ’70 lo ha dimostrato un particolare rivelatore. In una scena di nudo, le femministe che contestavano i fondamentalisti si spogliano, ma… indossavano un body color carne: negli anni ’70 avremmo sonoramente fischiato una simile paraculaggine autocensurata. Il coinvolgimento era però reale e ti veniva davvero voglia di cantare col coro (cosa che personalmente ho pure fatto).
Insomma: un’esperienza molto intensa e interessante. E ripensando anche a Inferno vien fatto di chiedersi: che stia tornando il “modo partecipativo” a teatro?
Ph. immagini Roberto Ricci