Yefim Bronfman: “Mr. Fortissimo” al Quartetto di Milano

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di Julia Barreiro

Yefim Bronfman impressiona il pubblico della Società del Quartetto di Milano con un programma a base di “danza”: Bartók, Schumann, Debussy e Stravinskij. Poche settimane dopo l’ultimo concerto in duo con il violinista Pinchas Zukerman (per Serate Musicali), il pianista russo-israeliano-americano, conosciuto per le sue potenti doti tecniche ed espressive, torna nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano per una serata da solista. 

Nel romanzo “La macchia umana” (2000), Philip Roth descrive Bronfman come un “Mr. Fortissimo”, da cui ci si aspetterebbe un pianoforte distrutto a concerto concluso, ma che invece lascia il pubblico sommerso da un sentimento di redenzione. Sarà la sua statura imponente in combinazione con la delicatezza timbrica, saranno la capacità tecnica e il carattere estroverso, qualunque sia la motivazione, anche martedì 4 aprile Bronfman ha stupito e meravigliato il pubblico di una Sala Verdi purtroppo non pienissima. Quasi a voler delineare le varie influenze che la danza ha sul repertorio pianistico, il programma scelto abbraccia stili, nazionalità ed epoche diverse.

Le prime battute che Bronfman attacca con gesto deciso e concentrato sono quelle della Suite op. 14 BB 70 Sz 62 di Béla Bartók. Seguendo attentamente il dialogo tra le diverse voci dell’Allegretto, scattando con energia sulle note staccate dello Scherzo, insistendo senza monotonia nell’Allegro molto e abbandonandosi all’atmosfera contemplativa del Sostenuto finale, Yefim offre un’interpretazione chiara, delicata e allo stesso tempo coinvolgente della Suite

Il suono intenso e convincente di Bartók lascia quindi spazio al secondo pezzo in programma: la Humoreske in si bemolle maggiore op. 20 di Robert Schumann. Dall’ispirazione tratta dalla musica etnica, si va a una composizione alimentata dai sentimenti contrastanti dell’inverno viennese del 1839. Lo stesso Schumann scrive a Clara di aver composto la Humoreske tra “riso e pianto”. Questo alternarsi di umori, scene e temperamenti concede a Bronfman di rivelare le ampie sfumature del proprio pianismo: con una fluidità impercettibile e senza perdere mai in coerenza, Yefim passa dall’ironia e dal virtuosismo degli episodi più veloci (Sehr rasch und leicht, Hastig, Sehr lebhaft, etc.) al lirismo e all’intimità di quelli più calmi (Einfach, Einfach und zart, Innig, Zum Beschluss). Con grande cura ed espressione nei diversi cambi di carattere e nei piani sonori, si conclude quindi la prima parte del concerto.

A ricongiungersi con il tema della danza dopo l’intervallo è la Suite Bergamasque di Claude Debussy. Con un tocco sorprendentemente delicato, Bronfman si immerge nell’universo di un Settecento fantastico, dove le maschere descritte da Verlaine nella poesia Clair de lune sembrano prendere vita e ballare al suono del Prélude, del Menuet e dell’energico Passepied. Come anche gli altri movimenti della Suite, il Clair de lune di Bronfman incanta per il suono velato e morbido, che però a volte risulta troppo leggero e chiaro per la poesia richiesta da Debussy.

Il contrasto timbrico, carico di virtuosismi, momenti percussivi e ritmici che segue, fa pensare che tra la Suite di Debussy e l’ultimo pezzo in programma ci siano più di sedici anni di distanza: si tratta dei Trois mouvements de Pétrouchka di Igor Stravinskij. La delicatezza precedente sembra scomparire completamente per lasciare spazio alla Danse russe, Chez Pétrouchka e La semaine grasse, movimenti che mettono in risalto la competenza tecnica, sonora ed espressiva di uno dei pianisti più acclamati degli ultimi quarant’anni. L’insieme di glissandi, salti, incroci, ribattuti e velocità, scritti originariamente per il virtuosismo di Arthur Rubinstein, impressiona il pubblico milanese, che all’ultimo accordo esplode in un’ovazione di ammirazione.

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