Riscopriamo il Novecento: Gianandrea Noseda

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di Alessandro Tommasi

Poco prima del suo concerto di sabato 25 marzo con Leonidas Kavakos e l'Orchestra del Teatro Regio di Torino, in programma il Concerto per violino di Brahms, i Frammenti Sinfonici dal Balletto Marsia di Dallapiccola e i Quadri da un’esposizione di Moussorgsky/Ravel, incontriamo Gianandrea Noseda nel suo camerino. La presenza di Dallapiccola nel concerto serale, concerto che si rivelerà essere un enorme successo, è lo spunto per indagare l’assiduo impegno del direttore milanese nei confronti del ’900 italiano.

Maestro Noseda, prima di tutto, com’è iniziato il suo percorso di riscoperta, messa in repertorio e incisione di brani del primo Novecento italiano?

«Sono sempre stato molto curioso di qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano, magari anche senza averla cercata, come il tutto repertorio russo che ho scoperto al Marinskij. Nello specifico, l’attenzione per la musica italiana del Novecento è nata in concomitanza con il centenario di Dallapiccola che è un compositore che mi ha sempre affascinato fin da quando lo suonavo al pianoforte, come Petrassi e Berio. Sentivo il dovere come italiano di omaggiare l’autore, quindi con la BBC Philharmonic di cui ero Direttore Musicale e Chandos incisi un primo CD. Mi sono così imbattuto in un mondo che conoscevo in maniera superficiale, ma ebbi modo di approfondire quando Chandos mi chiese un secondo disco su Dallapiccola, visto l’interesse suscitato dal primo. Due anni dopo trovai sulla mia scrivania del camerino della BBC la partitura della Seconda Sinfonia di Casella, per cui a mia insaputa l’orchestra aveva già firmato un contratto per l’incisione. Era il fac simile del manoscritto, praticamente illeggibile, ma ho dovuto registrarla comunque e me ne sono innamorato così tanto che l’ho portata in tutto il mondo. Così ho iniziato a chiedermi “Vediamo cosa c’è di Petrassi”, e ho registrato Magnificat e Salmo IX e poi mi venne richiesto un secondo disco. Poi venne un CD su Wolf-Ferrari, anche quello suggerito dalla BBC. Di Castiglioni mi innamorai moltissimo quando ci fece ascoltare il Salmo XIX  in Conservatorio, finalmente anni dopo riuscì a registrarlo sempre per Chandos con la Danish National Symphony Orchestra, andando poi a scoprire altri brani per completare il disco. Insomma il mio percorso è nato quasi per caso e adesso, appena trovo qualcosa di questi autori, cerco di eseguirlo, inciderlo e farlo conoscere perché credo che quei compositori non siano da meno dei grandi del Novecento, anzi. Non sono mai stato accusato di farlo per promozione personale, perché faccio solo ciò in cui credo. Se è musica che non mi interessa, che cosa posso dire io su di essa? Chiaro che come italiano sento anche la responsabilità di conoscerla e promuoverla, ma ritengo semplicemente giusto eseguire degli autori a torto negletti». 

Parlando proprio di compositori, un autore che non ha subito questa sorte è stato Respighi, per quale ragione?

Sì, è vero, di Respighi non parlo spesso perché il compositore è già più affermato. Non so per quale ragione, forse perché un direttore come Karajan aveva in repertorio i tre Poemi romani e molti altri grandi li hanno sempre diretti. Quando un grande direttore, numi tutelari quali appunto Karajan, Maazel o Jansons, registra questi capolavori, in un certo senso li consacra. Respighi è comunque un autore cui sono molto legato, perché il mio debutto con BBC per Chandos fu proprio con la Botique fantasque, la Pentola magica e una trascrizione di Bach». 

Per quanto riguarda invece un altro suo cavallo di battaglia, Alfredo Casella, perché ritiene che la sua musica sia stata maggiormente ignorata?

«Casella ha subito un veto ideologico molto forte. Non si è mai del tutto dissociato dal fascismo, ma quando sono state promulgate le leggi razziali ha cercato di prendere le distanze, quindi dopo la guerra per quelli di sinistra era un fascista, per i fascisti era un traditore. Musicalmente, invece, è un autore che è stato sempre molto influenzato da tutti senza essere copia di nessuno. All’inizio del Novecento c’è stato uno straordinario fiorire di stili nuovi e diversi e Casella li ha assorbiti e interiorizzati. In generale tutto il suo sviluppo di compositore parte da basi solidissime. Anche quando diventa più avventuroso, nel periodo dal 1916 al ‘23, comunque dà sempre un senso di grande padronanza della struttura. Non è stato quindi un compositore di rottura, è stato un compositore che sviluppato ciò che esisteva prima fino quasi ai massimi sistemi con un linguaggio assolutamente personale». 

Un autore che ancora non abbiamo citato è Malipiero, che lei ancora non ha ancora inciso. Per quale ragione?

«Malipiero è un grande compositore. Sono legato anche a lui perché il primo concerto della mia vita di direttore professionista, in Fondazione Cini a Venezia, fu dedicato ad autori italiani, con brani di Respighi e appunto di Malipiero. Tuttavia devo ammettere che è un autore che da un certo punto di vista mi interessa meno. Lo apprezzo molto, come apprezzo molto Busoni e Ghedini, ma in qualche modo questi sono compositori che mi parlano meno. Non è un giudizio critico: se mi parlano meno, come posso tradurre per gli altri ciò che io stesso non capisco? Ma magari è solo un periodo, un giorno forse scoprirò qualcosa e me ne innamorerò; come con Rachmaninov, che da ragazzo non sopportavo e che ora dirigerei ovunque. Sono assolutamente disposto a cambiare idea, non tanto per fare qualcosa di nuovo e dire qualcosa fuori del coro, quanto perché ci sono dei percorsi di vita che ti ci portano. Dopotutto ce ne sono di autori di cui ancora non ho fatto niente! Ad esempio Bruckner e Hindemith, che non sono ancora arrivato al punto di dirigere, ma in cui intanto ho iniziato a nuotare».

Una piccola anticipazione: qual è il prossimo progetto dedicato ad un autore italiano del 900 che vorrebbe assolutamente fare?

«Non l’ho ancora programmato ma una cosa che vorrei fare davvero moltissimo è la Missa solemnis pro pace di Casella. Poi c’è tanta musica che vorrei dirigere, come Job di Dallapiccola, dove c’è una bellezza incredibile di scrittura tra voce, Sprachgesang, il coro che rappresenta la voce di Dio, perché Dio non può essere rappresentato da una voce sola: è un pezzo molto severo, però, che bellezza. Mi piacerebbe anche scoprire brani di autori non italiani ma dedicati all’Italia, perché osservare come siamo visti dall’esterno è utilissimo per capire chi siamo. Mi piacerebbe molto, inoltre, proporre opere liriche di autori italiani anche importanti, ad esempio del Verismo, ma che non sono ora apprezzate a pieno o che magari hanno avuto un successo enorme alla loro prima, ma poi per qualche ragione sono uscite dal repertorio».

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