“Vivo in Galles, ma mi manca l’Italia”: intervista a Carlo Rizzi

in News
  1. Home
  2. News
  3. “Vivo in Galles, ma mi manca l’Italia”: intervista a Carlo Rizzi

I 40 anni del Rossini Opera Festival

Compie “i suoi primi 40 anni” il Rossini Opera Festival, la kermesse musicale lirica dedicata al genio pesarese prevista dall’11 al 23 agosto. Sarà Carlo Rizzi, per l’occasione, a dirigere il Concerto di Gala del 40esimo anniversario. Milanese di nascita e formazione e residente in Galles, dove per diversi anni è stato direttore musicale della Welsh National Opera, Carlo Rizzi sarà inoltre sul podio del ROF alla guida di una nuova produzione de L’equivoco stravagante, nel periodo tra il 13 e il 22 agosto. Una carriera che l’ha portato nei maggiori teatri d’opera. Dal Teatro alla Scala e l’Opera di Roma al Metropolitan di New York, dove ha diretto più di 200 recite e ha aperto la stagione 2017/18 con una nuova produzione di Norma. Così come alla guida di orchestre tra cui la Filarmonica della Scala, l’Orchestra sinfonica di Montreal e la Orquesta Sinfónica de Galicia.

È docente di direzione d’orchestra al Royal Welsh College of Music and Drama a Cardiff, dove svolge un ruolo chiave nella neonata Opera School in collaborazione con la Welsh National Opera. Amadeusmagazine.it ne traccia un ritratto in musica, in occasione del suo prossimo impegno italiano al Rossini Opera Festival.

L’equivoco stravagante e il Gala per il ROF

Sarà al Rossini Opera Festival per dirigere la nuova produzione de “L’equivoco stravagante”: qualche anticipazione?

«L’equivoco stravagante è, tra le opere meno conosciute di Rossini, quella che preferisco. È interessante, divertente e la musica è sempre viva e brillante. Siamo ancora agli inizi delle prove e stiamo lavorando col cast e col team di regia in modo molto armonico e collaborativo. Il gala è un momento di celebrazione che segna i quarant’anni di una scommessa (vinta) che ha visto il ROF diventare il punto di riferimento per la musica di Rossini nel mondo. Ci saranno cantanti che sono stati parte del festival in momenti più e meno recenti. Il programma è stato deciso per dare una visione globale dell’opera rossiniana. Per questo ci saranno arie, pezzi d’insieme, ouverture e sinfonie da opere serie e buffe. Un’anticipazione che posso fare è che ci sarà il finale del Guillaume Tell, un brano che mi emoziona sempre tantissimo e che, pur segnando la fine della produzione operistica di Rossini, lancia allo stesso tempo lo sguardo verso il mondo musicale del futuro».

Vivere e dirigere in Europa dopo la Brexit

La sua carriera l’ha portata in Galles, qualche rimpianto per aver lasciato l’Italia?

«Dopo trent’anni di vita all’estero qualche rimpianto ce l’ho. Mi manca il modo italiano di vivere, sicuramente più disordinato ma anche più spontaneo. In questi ultimi tre anni poi il problema della Brexit, con tutte le problematiche politiche, sociali ed economiche che ha portato (anche per la musica e le altre arti), mi ha fatto riflettere su come mi sentirò a vivere in una nazione che ha deciso di isolarsi dalla UE. Sentirmi non solo Italiano ma Europeo ha fatto parte del mio mondo da quando ero un ragazzino e, come la stragrande maggioranza degli altri tre milioni di stranieri europei che vivono in Gran Bretagna, non sto vivendo bene questo momento».

Consigli ai giovani musicisti

Docente di direzione d’orchestra al Royal Welsh College of Music and Drama a Cardiff: suggerimenti che le capita di dispensare più frequentemente ai giovani apprendisti direttori d’orchestra?

«”Studiate, studiate, studiate. Quando salirete sul podio sarete sotto lo “scrutinio” di 70 musicisti con molta più esperienza di voi che si aspettano dal direttore qualcosa di interessante e non le solite banalità che hanno sentito per anni da chi si è avvicendato sul podio con maggiore o minore fortuna. Solo se sapete di cosa state parlando e cosa volete ottenere avrete successo, altrimenti è meglio che pensiate di cambiare professione…”. Forse sono parole un po’ dure ma è la realtà».

In giro per il mondo

Sulla sua trascorsa esperienza come direttore musicale della Welsh National Opera?

«Ottima. Sono stato direttore musicale della WNO per molti anni e con loro ho costruito un rapporto molto positivo e profondo. Ci conosciamo molto bene e ogni volta che lavoriamo insieme approfondiamo sempre di più la ricerca sul suono e l’interpretazione (che è il lavoro che mi dà più soddisfazione). Un antidoto alla Brexit di cui parlavo sopra…».

È stato di recente, dal 2 all’11 maggio, a Milano alla guida dell’Orchestra de I Pomeriggi Musicali, come vive il ritorno per lavoro nella sua città d’origine?

«Per me è sempre emozionante tornare a Milano, la mia città, dove ho studiato e ho sognato di diventare un musicista affermato. Non dirigevo I Pomeriggi Musicali da tantissimi anni, dagli inizi della mia carriera. Ho trovato un’orchestra attenta, giovane e con la quale ho lavorato bene. Spero di tornarci presto».

Dallo strumento al podio: le qualità per emergere

Sono un numero sempre maggiore gli strumentisti che passano dalle file d’orchestra al podio. Come si spiega questa “tendenza”?

«Questa “tendenza” è di vecchia data, basti pensare a Toscanini, e ci sono stati sempre molti direttori d’orchestra che hanno iniziato come strumentisti o maestri collaboratori e si sono affermati sul podio. Quello che importa è che chi fa questo ‘salto’ sappia fare il direttore. Non basta avere un’esperienza orchestrale per dirigere (anche se sono convinto che aiuti molto). Come in tutti i campi, ci vuole professionalità e bisogna avere le qualità giuste. Se queste ci sono non importa attraverso quale strada si approda alla direzione d’orchestra».

Quali sono, a suo avviso, le caratteristiche che oggi possono consentire ad un direttore d’orchestra di emergere nel vasto panorama musicale internazionale?

«Ovviamente le qualità musicali sono fondamentali, come lo è lo studio continuo. Al giorno d’oggi però, con i sistemi globali di comunicazione, accade molto più spesso di un tempo che un giovane musicista promettente si trovi catapultato al centro dell’attenzione. Questo non è sempre un bene. Se è vero che le possibilità sono maggiori, è anche vero che maggiori sono i rischi… Solo con una preparazione solida, con grande spirito di sacrificio e resistenza – sia fisica che mentale – è possibile arrivare ad una carriera internazionale e viverla a lungo».

Molti direttori d’orchestra italiani lamentano il fatto di essere più accreditati all’estero come direttori d’opera, ovviamente a motivo della nazione d’origine, e meno come direttori di sinfonico. Cosa ne pensa?

«Penso che da un certo punto di vista sia normale visto l’immenso patrimonio culturale e musicale che l’opera rappresenta in Italia. Allo stesso tempo bisogna stare attenti a non incasellare i direttori a seconda della nazione d’origine. Ci sono direttori italiani che dirigono benissimo il sinfonico (basti pensare ad Abbado, Muti, Chailly) e direttori esteri che si trovano a proprio agio nel repertorio italiano».

I ricordi di una carriera

Tra le numerose esperienze con orchestre straniere conserva un ricordo particolarmente gradevole che potrebbe condividere con i nostri lettori?

«Di esperienze gradevoli ce ne sono tante e di vario genere. Per me è importante quando l’orchestra mostra una partecipazione e un apprezzamento per il lavoro svolto perché è il segno di una collaborazione riuscita. E senza collaborazione il direttore può fare poco».

Quali sono stati, nel periodo della sua formazione, i riferimenti tra i mostri sacri del passato? E perché?

«Ho avuto la fortuna di crescere a Milano dove l’offerta musicale era (ed è) molto ricca. Ho visto tutti i grandi direttori dal vivo (ad eccezione di Karajan) e tra tutti il mio preferito e venerato è Carlos Kleiber. Non credo di essere il solo a dirlo… Il suo modo di fare musica era unico e in lui vedo l’incarnazione del vero direttore d’orchestra. Personalmente ho avuto anche un’altra esperienza che è stata rivelatrice: quando ho fatto il corso [di direzione d’orchestra] con Franco Ferrara a Siena ho visto il Maestro dirigere per 5-6 minuti, e lì ho capito la grandezza di Ferrara come direttore e musicista. È stato un momento incredibile, irripetibile, che non dimenticherò mai».

Il rapporto con l’orchestra: una relazione biunivoca

Il segreto per un buon feeling con l’orchestra?

«Secondo me bisogna saper ‘guidare’ senza imporre. L’orchestra non è una tastiera. Il rapporto tra il direttore e l’orchestra è a doppio senso ed è compito del direttore tenere conto delle persone che gli stanno di fronte e del loro modo di essere musicisti. È un equilibrio molto difficile da trovare ma indispensabile per una buona collaborazione tra il direttore e l’orchestra».

Cosa ritiene che, ogni volta che sale sul podio, i musicisti in orchestra si aspettino da lei e cosa invece lei si aspetta da loro?

«Sicuramente l’orchestra si aspetta – giustamente – che il direttore conosca il pezzo da dirigere, il che non capita sempre con tutti i direttori… Ovviamente, conoscere il pezzo non vuol solo dire sapere dove si batte in 2, in 3 o in 4, ma riuscire a comunicare la visione del brano e il contributo che ogni singolo strumento deve dare all’insieme. Per ottenere questo c’è bisogno della collaborazione e della disponibilità artistica dell’orchestra, e questa è la cosa più importante che mi aspetto dai musicisti. Se si trova un’orchestra che non è aperta a interpretare il brano musicale in una maniera diversa da come lo ha sempre eseguito il lavoro del direttore è molto difficile, quasi impossibile».

Il 2020 tra Cardiff e New York

Prossimi appuntamenti in cui sarà coinvolto che ha il piacere di segnalare?

«Il 2020 è pieno di impegni interessanti. Dirigerò alla Welsh National Opera Vêpres siciliennes di Verdi (l’ho diretto in italiano ma questa sarà la prima volta in francese), poi sarò alla Metropolitan Opera di New York per Simon Boccanegra, opera che adoro. Poi alla Scala per L’amore dei tre re di Montemezzi, un’altra escursione nel repertorio verista meno conosciuto dopo La cena delle beffe che ho diretto qualche anno fa, e la prima registrazione di un’opera completa con l’etichetta discografica Opera Rara, della quale sono appena diventato direttore artistico».

Qui una presentazione della passata edizione del ROF

Antonio Pappano confermato direttore musicale a Santa Cecilia
Opera di Roma: a settembre “Waiting for the Sibyl”

Potrebbe interessarti anche

Menu