A pochi giorni dalla morte di José Antonio Abreu, la politica occupa definitivamente “El Sistema”. A capo del sistema delle orchestre giovanili del Venezuela pluridecorato dall’Unesco ci sono due fedelissimi del regime
Nemmeno due settimane erano passate dall’annuncio della scomparsa di José Antonio Abreu, avvenuta il 24 marzo scorso, quando dal Venezuela si è venuto a sapere che la politica aveva deciso di “occupare” definitivamente “El Sistema”. Vero che alla guida operativa è rimasto un musicista, già da tempo braccio destro del Maestro; si tratta di Eduardo Mendez, 39enne violinista. Ma gli altri due nomi scelti dal regime chavista per integrare la Giunta lasciano pochi dubbi sulle intenzioni.
La nuova coppia alla guida di El Sistema
Uno è Nicolás Maduro Guerra, figlio 27enne dell’ormai presidente-dittatore, flautista a tempo perso; l’altra è Delcy Rodríguez, a capo dell’Assemblea Costituente, istituzione eletta con un colpo di mano del governo e non riconosciuta da quasi nessun Paese al mondo.
Più fedelissimi di così insomma il regime non poteva scegliere, per quello che è ancora il fiore all’occhiello della cultura in Venezuela e in tutta l’America Latina: il sistema delle orchestre giovanili pluridecorato dall’Unesco e riprodotto in decine di altri Paesi.
Intendiamoci, El Sistema non è mai stata una istituzione indipendente dal chavismo, tantomeno di opposizione; e il Maestro Abreu in questo è sempre stato coerente. L’unica preoccupazione è stata che i finanziamenti pubblici al Sistema (e alla collegata Orquesta Sinfónica Simón Bolívar) continuassero abbondanti. E così è stato.
Un programma di regime
Antesignano di tutti i programmi sociali poi messi in piedi in Venezuela negli anni d’oro della rendita petrolifera, quello che vuole combattere povertà ed esclusione sociale con la bellezza della musica ha goduto di una sorta di esenzione ideologica. Nel Paese più polarizzato al mondo, Abreu ha galleggiato con abilità per due decenni. È lunga la lista degli episodi che lo hanno visto piegarsi alle esigenze del regime; così come delle indulgenze da lui ricevute in nome dell’obiettivo supremo di mantenere in vita la sua creatura. Questo difficile equilibrio oggi non è garantito, né per El Sistema, né per le esigenze di un regime alle corde.
La devastante crisi economica ha fatto fuggire all’estero milioni di venezuelani. Si stima che la sola “Simón Bolívar” abbia perso quasi la metà dei suoi docenti e musicisti. Con Abreu già malato, infine anche il suo grande pupillo Gustavo Dudamel non ha più potuto chiudere gli occhi davanti alle violazioni dei diritti umani nel loro Paese.
È stato quando un ragazzino di 18 anni, Armando Cañizales, violinista del Sistema, è morto ammazzato durante una delle centinaia di manifestazioni contro il regime, ad aprile dello scorso anno. Al funerale i suoi compagni lo hanno pianto interpretando la Settima di Beethoven tra cartelli contro il governo. Quindi il messaggio da Los Angeles di Dudamel, protestando per lo spargimento di sangue, «nel giusto clamore di un popolo soffocato da una crisi intollerabile».
Ore dopo, il governo impedì per ritorsione una tournée internazionale della Simón Bolívar con il suo più famoso ex allievo. E fu la rottura. A quel punto al regime è bastato attendere la morte di Abreu per far cessare l’anomalia.