Venezia: Mahler secondo Myung-whun Chung

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Fin dall’attacco della Quinta Sinfonia di Mahler diretta da Myung-Whun-Chung alla Fenice, era palpabile un avvolgente magnetismo, a conferma dell’affinità elettiva che da alcuni  anni lega il Maestro sud coreano all’orchestra e al teatro veneziano.

Chung sembra fare tesoro delle riflessioni adorniane su Mahler e la sua lettura depurata da ogni retorica  contribuisce  a liberare quest’opera da ogni esasperazione tardo-romantica. La trasparenza timbrica e il controllo degli equilibri fonici hanno esaltato la particolare concezione polifonica del compositore boemo, definita dal filosofo francofortese simile a una “sincronia di temi che arrivano da parti diverse” e a una “simultaneità sregolata e casuale dell’universo”. Ne emerge quel coacervo di tensioni irrisolte e irrisolvibili che rappresenta per Friedrich Schlegel l’essenza stessa del “romantico”, categoria che trascende un periodo storico determinato per assurgere a concetto umano ed estetico universale.

Chung segue ogni linea di forza che scuote dall’interno il tessuto musicale riuscendo a mantenere vertiginosamente l’equilibrio strutturale ed evitando una lacerazione presagita e sempre incombente. Annunci di speranza, drammi che segnano la prossima fine di un’epoca ed evocano al contempo sogni grandiosi si intrecciano simultaneamente come se la musica operasse nello stesso istante su molteplici piani sovrapposti. Viene ancora in mente Schlegel, le sue intuizioni frutto di un pensiero analogico che trova una felice sintesi nel simbolo dell’iperbole, figura aperta dotata di due fuochi, uno proiettato verso il finito, l’altro verso l’infinito.

Tale principio, trasposto nella scrittura orchestrale, fa sì che le diverse famiglie strumentali agiscano come fossero dotate di vita propria, analogamente a quanto accade in un romanzo in cui si intersecano  contemporaneamente vicende umane parallele.

Chung recupera l’idea adorniana della sinfonia-romanzo, caratteristica di Schubert ma anticipata anche da Beethoven (si pensi al nuovo tema introdotto nello sviluppo dell’Eroica), collegandola a un’altra fondamentale intuizione schlegeliana, quella di una architettura formata da un sistema di frammenti. La sinfonia si snoda infatti in cinque tempi di cui però i primi due e gli ultimi due sono tra loro collegati senza soluzione di continuità mentre lo Scherzo, autentico perno dell’opera, si erge come un Mittelpunkt, centro che vivifica e nutre gli elementi che a esso si collegano.

Chung lo tratteggia come un valzer attraversato da ombre oblique in cui si contrappongono da una parte la morbidezza seducente del timbro e del fraseggio, dall’altra le drammatiche irruzioni degli ottoni. Il corno, affidato all’eccellente Konstantin Becker, prima parte dell’orchestra, incarna il baluardo dei valori umani e il principio ordinatore contro cui lottano le forze avverse del destino.

L’Adagietto sboccia come il fiore di una bellezza ferita, sognata e perduta, un desiderio che si infrange nel momento stesso in cui affiora lieve alle labbra, ma dalle sue spoglie risorge il Rondo Finale nel quale il contrappunto si trasforma in potente strumento costruttivo. In questo processo di rinascita gli ottoni, dapprima forieri di catastrofi, sbozzano ora i profili tematici, irradiando lo splendore di un regno futuro in cui si innesta grandiosa la dimensione dell’umano. L’orchestra, plasmata dal gesto di Chung, freme viva in ognuna delle sue parti, trascinando il pubblico in una autentica ovazione.

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