Quando Wim Wenders si mette al lavoro sulla sceneggiatura di “Fino alla fine del mondo”, ha le idee ben chiare: questo sarebbe stato il suo ultimo road movie. I suoi personaggi si muovono così in un futuro prossimo, da Berlino alla Transiberiana, e il loro viaggio è totalmente immerso nella materia musicale.
Così, le atmosfere della pellicola aleggiano da rarefatte a intense in continuo mutamento, vantando sono una sequela di archetipi della storia della musica recente tra gli artisti: innanzitutto, a mutuare il titolo del film compare il brano degli U2, “Until The End Of The World”, presente in una versione lievemente differente nel disco “Achtung Baby”; Nick Cave declama “(I’ll Love You) Till The End Of The World” sul tessuto musicale intrecciato dai Bad Seeds; Patti Smith con, al suo fianco, Fred “Sonic” Smith intona l’incedere di “It Takes Time”. E poi si susseguono ancora Talking Heads, Can, R.E.M., Depeche Mode, Lou Reed, Elvis Costello.
Questo contenitore musicale si trova incastonato tra i titoli di testa e di coda, brani strumentali firmati da Graeme Revell, con un assolo del violoncellista David Darling. E non è tutto. Sebbene non incluse nell’album, sono presenti tra le scene del film delle musiche pescate direttamente da due raccolte etnomusicologiche della fine degli anni ‘70, una africana e l’altra australiana. In modo particolare, la prima attinge dal repertorio dei pigmei, catalogato in “Centrafrique: Anthologie de la musique des Pygmées Aka”; mentre la seconda fa riferimento alla tradizione aborigena raccolta in “Les Aborigènes: Chants et danses de l’Australie du nord”.
In poche parole, Wim Wenders si immerge nella materia musicale dando con essa respiro a ogni scena, intrisa delle tonalità, vivente nelle diverse direzioni di ritmo e senza confini di genere.
Immagine di copertina: Photo by Carlos Alvarez/Getty Images