«Anna Serova, che spesso suona musica da camera con me, Bruno Giuranna e Rocco Filippini, ha un suono meraviglioso, una tecnica davvero brillante e una notevole musicalità».
Così descrive la bionda violista di origine russa Salvatore Accardo. Studi con Vladimir Stopichev al Conservatorio di San Pietroburgo, con Bruno Giuranna all’Accademia W. Stauffer di Cremona e con Yuri Bashmet all’Accademia Chigiana di Siena e una brillante carriera concertistica che la vede protagonista di alcune delle più importanti stagioni concertistiche e festival italiani ed esteri. Molte le musiche a lei dedicate da alcuni dei più importanti compositori contemporanei tra cui Boris Pigovat, Roberto Molinelli e Azio Corghi. Proprio quest’ultimo le dedica la cantata drammatica “Fero Dolore” (2005), mentre della tragedia lirica “Giocasta” (2008), Anna Serova ha tenuto a battesimo la prima assoluta al Teatro Olimpico di Vicenza con Chiara Muti, Filippo Faes e Swingle Singers. Alla sua attività di camerista, con celebri interpreti come I. Gitlis, B. Giuranna, S. Accardo, R. Filippini, F. Faes, T. Hoffmann, si affianca quella di solista accompagnata da compagini orchestrali tra cui la Moscow State Symphony Orchestra, Siberian Symphony Orchestra, Krasnoyarsk Chamber Orchestra, Orchestra di Padova e del Veneto, Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza e Filarmonica di Belgrado. Nel 2006 il Sindaco di Krasnoyarsk (Siberia) nomina Anna Serova “Ambasciatrice culturale della Città”. In qualità di didatta è frequentemente impegnata in masterclass in Russia e in Europa e come docente di viola e musica da camera presso l’Accademia Internazionale “L. Perosi” di Biella. La incontriamo in occasione dell’esecuzione della composizione Tang’Jok-jaloux a lei dedicata da Azio Corghi prevista per il 3 dicembre al Gran Teatro La Fenice di Venezia.
Numerose sono le dediche ricevute da alcuni dei più importanti compositori contemporanei (tra cui Azio Corghi, Boris Pigovat, Roberto Molinelli): il suo rapporto con la musica contemporanea?
«La musica contemporanea è lo specchio della società. I compositori, come i pittori, descrivono la realtà in cui vivono, in passato come oggi. Ascoltare un brano di musica contemporanea è come leggere un giornale. Per cui penso che non si possa ignorare, come musicista, ma anche come semplice ascoltatore».
Sulla composizione Tang’Jok-jaloux a lei dedicata da Azio Corghi che eseguirà al Gran Teatro La Fenice di Venezia il prossimo 3 dicembre.
«È il secondo tango che Azio Corghi mi dedica. Si tratta di una composizione ispirata a “Gelosia”, tango scritto nel 1925 dal danese Jacob Gade. È un gioco virtuosistico scaturito dal seducente ritmo e da citazioni del tango tzigano degli anni ’20 che si mescolano al doloroso incipit melodico del monteverdiano “Lamento di Arianna”. Si riferisce al dramma teatrale “Elena” di Maddalena Mazzocut-Mis, dove – parole di Azio Corghi – “l’arma della bellezza diventa causa di sofferenza”».
La scelta della viola.
«Ho provato la viola su consiglio di un insegnante quando avevo 15 anni. Sono rimasta molto colpita dal “calore” del suono e ho deciso di proseguire gli studi con i migliori insegnanti».
Dopo gli studi al Conservatorio di San Pietroburgo con Vladimir Stopichev, quelli in Italia con Bruno Giuranna a Cremona e con Juri Bashmet a Siena: in che modo ognuno di questi grandi interpreti ha contribuito alla sua crescita?
«Stopichev mi ha trasmesso tutta la solidità della scuola russa, con le sue tradizioni e il rigore. Giuranna mi ha dato tantissimo, soprattutto in termini di approccio allo studio, sistema e disciplina. Le masterclasses con Yuri Bashmet all’Accademia Chigiana di Siena sono state per me una grandissima ispirazione dal punto di vista della musicalità e del suono».
Ispirazioni tra i grandi esecutori del passato?
«Le ispirazioni sono tante, non solo provenienti dal campo degli strumentisti d’arco e non solo del passato. Ma se dovessi fare un nome, farei senz’altro quello di Ivry Gitlis, con il quale ho avuto il privilegio di suonare. Lui adesso ha 95 anni suona ancora il suo Stradivari. L’ho sempre ammirato non solo per il suo talento unico, ma anche per la sua passione, lo spirito, l’eclettismo e ovviamente la sua longevità musicale».
Si divide tra attività solistica e cameristica ma quale veste sente più sua e perché?
«La mia attività si divide in tre parti piu’ o meno uguali: solistica, cameristica e didattica. Tutte e tre sono abbastanza bilanciate tra loro e non saprei a quale dare la precedenza. Posso considerarmi fortunata perché faccio esattamente quello che ho sempre voluto».
Lei è docente di Viola e Musica da Camera all’Accademia di Alta Formazione Artistica e Musicale “L. Perosi” di Biella: cosa suggerisce ai giovani che sognano di poter intraprendere la professione?
«Nel nostro mestiere ci vuole perseveranza, pazienza, tanto lavoro e sacrificio. Da giovani bisogna scoprire il metodo di studio più efficace e, una volta trovato, perfezionarlo costantemente. È importante essere consapevoli che le soddisfazioni convivono con le delusioni, quindi bisogna essere forti e determinati e avere gli obbiettivi molto ben chiari. Ciononostante fare l’artista è un privilegio, anche perché si ha l’opportunità di crescere e migliorarsi giorno dopo giorno».
Ambasciatore Culturale e Commerciale della Città di Krasnoyarsk in Italia e nei Paesi Europei, cosa significa per lei?
«Sono nata ad Arcangelo ma con la città di Krasnoyarsk ho un legame artistico e di amicizia molto particolare. Ci sono dei musicisti straordinari e un’amministrazione devota alla promozione culturale. Sono tanti i progetti effettuati insieme, tra cui il Protocollo d’Intenti con Cremona. I musicisti siberiani sono venuti più volte in Italia a suonare gli strumenti cremonesi e dal Consorzio Liutai “A. Stradivari” di Cremona sono partiti violini, viole e violoncelli per arricchire la collezione comunale di strumenti contemporanei di Krasnoyarsk. La creazione di questa collezione è stata una mia idea, di cui vado particolarmente orgogliosa».
Un’esperienza indimenticabile della sua carriera.
«Una su tutte: un concerto con l’Amazonas Filarmonica all’Opera House di Manaus (Brasile), un teatro bellissimo costruito durante la Belle Epoque praticamente in mezzo alla giungla amazzonica. Dopo le prove mi portavano a vedere la foresta e il punto in cui si incontrano il Rio Negro e il Rio delle Amazzoni, due fiumi di diversi colori che non si mescolano tra loro».
Un sogno nel cassetto?
«Sogno solo di continuare fare quello che sto facendo già: scoprire nuovi posti, orchestre e sale da concerto, arricchire il mio repertorio con nuove composizioni, continuare a fare musica da camera con le persone eccezionali che conosco già e lasciarmi sorprendere da nuove collaborazioni, continuare a insegnare».