Velvet Goldmine: come rimanere senza fiato

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“To be played at maximum volume”: con queste parole, Todd Haynes lancia un chiaro monito sin dalle prime scene, senza trascurare un riferimento esplicito al disco “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders from Mars” di David Bowie.

È infatti quest’ultimo artista la figura ispiratrice del film (benché egli si sia distaccato dall’opera, negando i propri brani per la colonna sonora), che narra le vicende dell’icona glam rock Brian Slade, interpretata da Jonathan Rhys Meyers, e del trasgressivo Curt Wild, portato sullo schermo da Ewan McGregor, in un riferimento nemmeno troppo nebuloso al sodalizio tra il già citato David Bowie e Iggy Pop. Fulcro narrativo delle vicende, le ricerche del giornalista Arthur Stewart, al secolo un giovane Christian Bale. Così, tinte sature e accese e accordi taglienti si susseguono sullo schermo, mentre il pendolo oscilla tra Londra e New York degli anni ‘70 e ‘80, tra citazioni di Oscar Wilde e diretti riferimenti al fermento glam e post punk.

La colonna sonora, nemmeno a dirlo, lascia senza fiato. Sono diversi i brani originali presenti, come Satellite Of Love di Lou Reed e Needle In The Camel’s Eye di Brian Eno, ma accade qualcosa di più. Alcune tra le band più rappresentative degli anni ‘90 danno infatti vita a brani originali, basti pensare ai Pulp di We Are The Boyz e agli Shudder To Think di The Ballad of Maxwell Demon che, nel film, accompagna le immagini di un video musicale dello stesso Brian Slade.

Sono sempre gruppi contemporanei a infrangere poi i confini tra presente e passato, lo fanno i Placebo con la loro versione di 20th Century Boy di Marc Bolan e i Teenage Fanclub con Donna Matthews in Personality Crisis dei New York Dolls.

E compaiono infine, ma non certo per importanza, due entità a sé stanti, che nascono e si spengono nell’arco del film. I Wylde Ratttz, scaturiscono dall’unione di vari monoliti della musica, tra i quali Thurston Moore dei Sonic Youth, Ron Asheton degli Stooges e Marc Arm dei Mudhoney con la loro T.V. Eye, proprio degli Stooges, cantata nel film dallo stesso McGregor. Compaiono poi Thom Yorke e Jonny Greendwood dei Radiohead, Bernard Butler degli Suede, Andy Mackay dei Roxy Music e David Gray tra le fila dei Venus In Furs, presenti in diverse tracce della colonna sonora, soprattutto a firma Roxy Music. Tra queste, anche una Baby’s On Fire di Brian Eno, cantata dallo stesso Rhys Meyers, e Gimme Danger di Iggy Pop, con alla voce Ewan McGregor.

In poche parole, Velvet Goldmine non è certo un documentario o un film biografico, bensì una realtà ucronica fremente e sensuale, dove la musica è densa in ogni fotogramma e dove perdersi in un concentrato di monoliti musicali degli ultimi trent’anni dello scorso secolo.

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