Palermo: Bahrami al Festival delle Letterature Migranti

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Dal 4 all’8 ottobre si è svolta a Palermo la III edizione del Festival delle Letterature Migranti; un festival ricco di eventi (tavole rotonde, presentazioni di libri, incontri, letture, workshop, mostre, proiezioni, performance teatrali e concerti) che hanno avuto come unico comune denominatore la mobilità come diritto. L’intento è stato quello di proporre una riflessione sull’incontro tra diverse realtà e tradizioni, valorizzando la natura migrante della letteratura. Riflettori puntati quindi su tutti quegli artisti, registi, giornalisti, docenti, che sono oggi protagonisti in prima persona di quel dialogo tra culture differenti, in una città come Palermo simbolo dell’intreccio tra popoli e culture. Tra i tanti eventi in programma c’è stato anche un inedito progetto musicale con la presenza del pianista Ramin Bahrami. Il Progetto Bahrami nasce dalla collaborazione tra il Festival delle Letterature Migranti, la Fondazione Teatro Massimo, il Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Palermo e l’Associazione Amici del Teatro Massimo e si è svolto dal 3 al 5 ottobre articolandosi attraverso una serie di incontri e conversazioni, incorniciati da due esibizioni del pianista rispettivamente al Teatro Massimo e nell’auditorium del Conservatorio.

Di nazionalità iraniana (Teheran, 1976) Bahrami fu costretto, all’età di undici anni, a emigrare con la sua famiglia in Europa a causa degli sconvolgimenti politici e sociali del suo paese e all’avvento del regime di Ruhollah Khomeyni. Accolto in Italia, ha studiato al Conservatorio di Milano con Piero Rattalino e si è perfezionato con Wolfgang Bloser, Robert Levin, András Schiff, Rosalyn Tureck e Alexis Weissenberg. Nel 2009 la Decca ha pubblicato un cofanetto di sei cd dedicato interamente alla musica di Johann Sebastian Bach, consacrando Bahrami come uno dei massimi interpreti contemporanei del compositore tedesco. La musica di Bach costituisce per Bahrami l’immagine di un mondo ideale: «Bach è il poeta del dialogo, del contrappunto, di un’idea armoniosa di elementi divergenti e contrastanti. Nella musica di Bach anche le note migrano nelle sua melodie; l’Oriente e l’Occidente si uniscono, coesistono e convivono in un linguaggio senza confini con la sola forza di unire mondi differenti». Con queste parole è lo stesso Bahrami a chiarire il particolare significato che acquista la sua presenza a Palermo, soprattutto per l’idea che il pianista ha della musica come linguaggio universale.

Il 3 ottobre Bahrami, nel primo dei due concerti previsti, si è esibito nella splendida cornice della Sala Grande del Teatro Massimo, eseguendo le Variazioni Goldberg BWV 988 composte da Bach tra il 1741 e il 1742 e concepite come una monumentale opera fitta di simbologia e di stretti rapporti matematici intrecciati fantasiosamente in trenta variazioni su un’Aria il Sol maggiore.

Inutile riaprire adesso la solita bagarre sulla correttezza di suonare le Goldberg al pianoforte; le Goldberg nascono per un clavicembalo a doppia tastiera, ma è pur vero che celebri pianisti vi si sono cimentati in modo eccellente al pianoforte, spesso lasciando il segno nella storia delle incisioni discografiche. Bahrami sfoggia un’indiscutibile tecnica, tuttavia la mancanza di una precisa cifra stilistica ha spesso rischiato di compromettere la decifrabilità delle trame e in alcuni momenti il flusso di suoni è risultato impastato e poco chiaro, complice l’uso del pedale e una generale mancanza di chiarezza sulle singole note. Parte del problema nasce indubbiamente dall’assenza della doppia tastiera, e dall’impossibilità di mescolare timbriche diverse che soprattutto nei Canoni ne avrebbero resa chiara e intelligibile la struttura. Non sono da sottovalutare neppure le pause, eccessivamente ridotte, tra una variazione e la successiva, castrando di fatto quei necessari attimi di sospensione essenziali all’apprezzamento stesso del pezzo. Il pubblico, apparentemente soddisfatto e sempre attento, ha comunque mostrato entusiasmo e Bahrami, sollecitato da un convinto favore, ha concluso il concerto eseguendo la Siciliana BWV 1031, l’Aria sulla quarta corda e il Preludio N.1 in Do maggiore BWV 846 tratto dal Libro 1 del Clavicembalo ben temperato, quest’ultimo in realtà eseguito in maniera impeccabile.

Resta forte per molti il sospetto che il “fenomeno Bahrami” possa solo essere una riuscitissima operazione mediatica e di marketing, e che sia eccessivo, almeno per il momento, considerarlo uno dei massimi interpreti di Bach; i dubbi, sollevati da numerose critiche, non trovano smentite neppure nella seconda delle due serate concertistiche; il 5 ottobre, infatti, Bahrami si è esibito in qualità sia di direttore sia di pianista nella Sala Scarlatti del Conservatorio. In duo con la pianista Dorotea Cei, ha interpretato e diretto il Concerto in do minore per due pianoforti, archi e basso continuo BWV 1060 di Bach.

La prima parte del concerto ha visto inoltre protagonisti alcuni giovanissimi allievi che hanno eseguito il Concerto in Do maggiore per mandolino, archi e basso continuo RV 425 di Antonio Vivaldi e il Concerto in re minore per 2 violini, archi e basso continuo BWV 1043 di Bach. A dirigere l’Ensemble giovanile d’archi del Conservatorio, nella prima parte del concerto, il brillante Ignazio Maria Schifani, una certezza quando si parla d’interpretazione della musica barocca, sempre elegante nel gesto ed eccellente nella cura dei dettagli. Meritevoli di menzione sono i giovanissimi interpreti: Riccardo Porrovecchio e Riccardo Obiso ai violini e Raffaele Pullara al mandolino.

Immagine di copertina Ph. Lannino

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