In vain di Haas alla Philharmonie di Parigi

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Dalla prima esecuzione assoluta, avvenuta a Cologna ormai diciassette anni fa, i monumentali settanta minuti di In vain dell’austriaco George Friedrich Haas non hanno mai smesso di affascinare le platee da una costa all’altra dell’Atlantico, guadagnandosi un consenso a tal punto unanime da spingere una schiacciante maggioranza degli addetti ai lavori, recentemente consultati dalla rivista «The Classic Voice», a designare quest’opera per ventiquattro strumenti e luci come il capolavoro musicale forse più importante prodotto dal 2000 ai giorni nostri.

Ed è così che, nel corso di uno degli appuntamenti più attesi all’interno del ricco cartellone del Festival d’Automne di quest’anno (il 10 novembre scorso), la ripresa di questa meravigliosa pagina recente non ha mancato di attirare una folta platea desiderosa di immergersi nelle pieghe del suono di Haas, un suono estremamente ricco e sfolgorante, esaltato nella sua primordialità dal completo spegnersi delle luci in sala in determinati momenti previsti dalla partitura. A un inizio piuttosto neutro – una fredda e vorticosa discesa scalare che più volte ritorna in corso d’opera – seguono fasi d’improvvisa dilatazione acustica, da cui il suono degli strumenti esce come rinnovato, trasfigurato.

La completa oscurità in cui a tratti viene calata la compagine strumentale, d’altronde, favorisce un ascolto immersivo assai vicino a quello acusmatico, trascinando così l’ascoltatore in un’esperienza sensoriale impressionante nella sua eccezionalità e facendolo sprofondare nelle imponenti masse sonore che si dispiegano l’una dopo l’altra durante l’esecuzione. Distaccandosi con intelligenza dalla meravigliosa interpretazione già fissata su disco anni fa dal Klangforum Wien diretto da Sylvain Cambreling, primi interpreti del lavoro, un Ensemble intercontemporain in gran forma sotto l’impeccabile bacchetta di Erik Nielsen ha saputo offrire una differente quanto stimolante lettura di questa pagina, esaltandone con fredda precisione ogni cesello e trasportandola in una dimensione di astrazione quasi ultraterrena, metafisica.

Applausi generosi e protrattisi a lungo hanno meritatamente ricompensato il tour de force di questi interpreti d’eccezione, impegnati con uno dei massimi capolavori del nostro tempo.

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