Un’arte nuova per uscire dal lockdown: la parola a Raffaele Pe e La Lira di Orfeo

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Qual è il compito degli artisti nel tempo del lockdown e come sfruttare al meglio le potenzialità del digital heritage? Questi e molti altri i temi affrontati in una appassionata conversazione con il leader e fondatore dell’ensemble barocco La Lira di Orfeo, il controtenore lodigiano Raffaele Pe, Premio Abbiati per l’incisione discografica Giulio Cesare. A baroque Hero (Glossa 2018), che i lettori di Amadeus ricordano anche per il recente disco Concerti sacri, con musiche di Alessandro Scarlatti. Negli ultimi mesi i confini geografici si sono ristretti: una condizione destabilizzante cui la globalizzazione e decenni di inarrestabile benessere ci avevano disabituato. Contenuti gratuiti circolano online come sentinelle contro il silenzio che la quarantena porta con sé: «un ennesimo regalo che i lavoratori del settore culturale fanno a tutti, indiscriminatamente», ha lucidamente rimarcato pochi giorni fa Andrea Rurale, Direttore del Master in Arts Management and Administration della SDA Bocconi, in Lavoratori nell’arte al tempo del Coronavirus (sdabocconi.it). 

Prima di questa emergenza sanitaria lo streaming sembrava essere solo una bella zona di resistenza alla noia, nella fortuita impossibilità di recarsi in teatro. Potrebbe adesso diventare un “asso nella manica” per vincere la grande sfida del futuro? 

«Guardare un’opera o un concerto in streaming non è la stessa cosa che andare in teatro o in una sala da concerto. In alcun modo è ipotizzabile una sostituzione totale dello spettacolo dal vivo in favore di un approccio meramente virtuale. Questo, naturalmente, non lo dico solo in qualità di cantante: credo sia una verità a priori. Peraltro, non si può fare a meno di notare una divaricazione piuttosto netta tra fiducia e perplessità circa l’utilizzo degli streaming». 

Come quando Giovanni Raboni precisava che «ascoltare un disco non significa “fare a meno” di un’esecuzione dal vivo, ma al contrario, celebrarne la mancanza». 

«Esattamente. Io, per dirla tutta, non sono particolarmente d’accordo con la pratica degli streaming fine a sé stessa. Eppure, al contempo, tale modalità di fruizione delle performance mette in risalto un tema cruciale, soprattutto oggi: quello delle nuove tecnologie». 

Il digital come soluzione?

«Potrà esserlo solo se verrà ripensato il modo in cui reintegrarlo nei meccanismi produttivi. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che fino ad ora il digital è stato sottoposto a vecchi schemi. Bisogna ora dedurre e articolare schemi nuovi. È l’occasione per rivedere i modelli. Se continueremo ad applicare schemi vecchi a strumenti nuovi sarà comunque una sconfitta, la perdita di un’opportunità. Bisogna utilizzare mezzi nuovi per creare un’arte nuova. Non sarà facile. Ma non appena sapremo da dove partire e avremo ben chiaro il nostro obiettivo, sono sicuro che sarà un successo. Deve però prima maturare una piena consapevolezza da parte degli artisti, degli operatori e soprattutto da parte del pubblico». 

Allo stesso tempo, saltare ogni appuntamento performativo e rimandare tutto alle soglie del 2021 – o attendere la scoperta di un vaccino – sarebbe un errore: sarebbe come contemplare un cielo senza stelle per troppo tempo. 

«Ecco perché gli artisti – tutti gli artisti – devono tornare al più presto a svolgere un ruolo attivo nella società. È necessario».

Quale approccio converrebbe rimodulare, su larga scala?  

«Allo stato attuale, ogni teatro o società di concerti si relaziona con i propri abbonati; nel futuro bisognerà fidelizzare questi abbonati offrendogli prodotti che risultino intriganti, presentati cioè in un formato innovativo. Insomma, dove prima il botteghino era il punto di riferimento adesso dovrà esserlo il web. In tal senso, ogni piccola percentuale di audience sarà decisiva. Bisogna quindi, prima di ogni altra cosa, ispirare fiducia rispetto al sistema digital e trovare sistemi economicamente sostenibili. Fiducia e positività: tematiche a me molto care, su cui mi sono confrontato più volte, negli ultimi giorni, con gli amici registi Fabio Ceresa e Jacopo Spirei». 

Non bisogna solo sognare, ma anche agire; non solo credere, ma anche progettare.

«Fermo restando che ogni istituzione musicale possiede una propria specificità, una sua dignità, una cultura a sé stante, bisogna riflettere su cosa interessi veramente allo spettatore di oggi. Bisognerà, pertanto, ripensare le produzioni in senso filmico (ma attenzione, non intendo una loro declinazione in senso hollywoodiano): per meglio dire, bisognerà creare dei preziosi oggetti d’arte».

Esiste già qualche forerunner cui ispirarsi? 

«Mi viene in mente l’art film “Voluptas dolendi. I gesti del Caravaggio”, prodotto dalla Fondazione Marco Fodella di Milano. Una originale sintesi tra musica, danza, recitazione, pittura; un lavoro unico nel suo genere e di grande valore culturale, realizzato con costi relativamente ridotti».

Un’arte creativa, ma che sia nuova: questa la via da percorrere.

«La creatività è la chiave di volta. E chi sono i creativi se non gli artisti? Gli artisti devono far parte del rinnovamento che ci attende: dare nuova vita, mediante differenti saperi artigianali, alla forma d’arte del futuro. Quasi per paradosso, proprio alle soglie di una nuova era, credo che si stia ritornando alle origini della storia dell’opera. Non dimentichiamo che l’opera nacque secoli fa come esperimento eminentemente intellettuale che ardì mettere insieme differenti attitudini artistiche per creare uno spettacolo mai visto prima di allora». 

Si delinea con sempre più nettezza il focus del sovvenzionamento degli artisti, che si lega indissolubilmente con il concetto di responsabilità, soprattutto per le generazioni più giovani, le nostre generazioni.

«Le indennità di disoccupazione per gli artisti a malapena possono edulcorare le attuali incerte prospettive. Si prospettano circa otto mesi di interruzione delle attività. Alla luce di ciò, ritengo che debbano essere otto mesi di promozione, veicolata da forme di monetizzazione che supportino tutta la filiera dello spettacolo. Non ci si può fermare. E l’imprenditoria non dovrà mortificare l’artista. Un artista, infatti, non dovrebbe trovarsi mai a lavorare con mezzi minimi. Egli non può – come recita il famoso adagio – “fare le nozze con i fichi secchi”. Ogni progetto dovrà quindi valorizzare al massimo i singoli artisti mediante un prodotto vincente».

Quali sono i progetti de La Lira di Orfeo?

«Ci stiamo dotando dei mezzi tecnici necessari per affrontare le sfide del futuro. Torneremo presto a emozionare il nostro pubblico. In parallelo alle iniziative digitali – per continuare a offrire la nostra musica a distanza – sarà comunque necessario dare vita a esecuzioni dal vivo, immaginando formati nuovi destinati a un pubblico più ristretto e distanziato, con esecuzioni moltiplicate per permettere a tutti di accedere ancora alla musica, con lo stesso entusiasmo di sempre. Uno dei tanti progetti, ad esempio, è quello di proporre opere barocche a Lodi, adattando magari a contesti non-convenzionali l’allestimento scenico».

Emma Dante ha recentemente auspicato, per il mondo del teatro di prosa, che la ripartenza avvenga dalle residenze teatrali. 

«Credo sia una proposta molto facilmente applicabile anche al mondo della musica. La Lira di Orfeo è stata tra i primi ensemble barocchi italiani a costituirsi – 5 anni fa – proprio in seno a una residenza artistica, creando una rete di musicisti vicini anche a un pubblico locale affezionato». 

Il prossimo passo? 

«Vorremmo invitare tutti gli artisti e gli ensemble a unirsi in una giornata celebrativa del ritorno alle esecuzioni dal vivo – consapevoli che, finché sarà necessario, saranno rivolte ad audience più ristretti».

Info: laliradiorfeo.it

Attilio Cantore

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