Vive da anni in Italia, ha studiato anche in Italia, ma pochi qui conoscono la sua musica. Eppure la lituana Justė Janulytė, a trentasei anni, è già una compositrice di fama internazionale, e una delle voci più interessanti della musica contemporanea in area baltica. Quest’anno ha ricevuto il Premio Nazionale per le Arti e la Cultura in Lituania, direttamente dalle mani del presidente della repubblica lituana, Dalia Grybauskaitė.
Allieva di Luca Francesconi e di Helena Tulve, ha abituato il pubblico a lavori di grande seduzione, basati su continue metamorfosi timbriche, su dense textures monocromatiche e minimaliste, su scritture strumentali dove gli ensemble sono concepiti come un unico, utopico strumento dall’estensione enorme. La sua musica – che lei stessa definisce «monocroma» – è spesso influenzata da metafore acustiche, da suggestioni di tipo ottico (come White music per archi, del 2004), dall’armonia delle sfere, dal suono delle galassie (interesse trasmessole dal padre, noto astrofisico). E sempre in una dimensione avvolgente, molto calibrata, carica di tensione, come si può ascoltare in Aquarelle (2007) per coro da camera, basato su pulsazioni regolari e sequenze di scale diatoniche, o in Textile (che ha avuto la sua prima nel 2008 alla Biennale di Venezia), lavoro per orchestra costruito come un ordito privo di attacchi, ispirato all’idea di un suono che emerge dal silenzio e che al silenzio ritorna, o in Elongation of Nights (2009) per archi, che si muove su due percorsi temporali distinti.
In Sandglasses (2010), quattro violoncelli, avvolti in colonne trasparenti (con video e live electronics) creano l’effetto di enormi clessidre e sembrano riflettere sul trascorrere del tempo. Radiance (2015), per coro ed elettronica, è concepito come un lento crescendo, con una scrittura antifonale e ondate armoniche che evocano processi di radiazione, effetti di decomposizione e di fusione. In The Colour of Water (2017) per sassofono e orchestra da camera, la parte solistica oscilla come un pendolo tra note gravi e acute, lasciando lo che spazio intermedio venga via via riempito da un “liquido” orchestrale trascolorante.
Midnight Sun (2017) evoca le notti bianche che si vedono in Lituania, con una trama densa e impalpabile (all’inizio), con 54 archi a parti reali (i 10 violoncelli disposti a semicerchio intorno al solista, come per creare una sorta di camera d’eco), una superficie sonora lievissima (anche per l’uso delle sordine di metallo) che portava però via via a un climax dirompente. In Here at the quiet limit (2018), ispirato a una poesia di Tennyson (Tithonus) orchestra d’archi e coro maschile si intrecciano muovendosi su due vettori contrapposti (l’orchestra scende di registro e restringe progressivamente il suo range armonico, il coro invece sale e si espande), fondendo le dimensioni di spazio e tempo, facendo sbiadire i loro confini.
Here at the quiet limit commissionato dall’Orchestra da camera lituana e dal Coro Nazionale Estone, è stato eseguito con grande successo a gennaio in diverse città della Lituania (Vilnius, Klaipėda, Kaunas), e ad aprile verrà eseguito in Estonia, sempre nel quadro degli eventi speciali dedicati all’anniversario dell’Indipendenza degli stati baltici.
A febbraio uno degli appuntamenti parigini con la musica contemporanea è stata la prima francese di Sandglasses, inserito nel quadro della Biennale Némo (e coprodotto da T&M e Gaîté Lyrique). A marzo a Vienna l’Ensemble XX.jahrhundert recupera un lavoro giovanile della Janulytė, Let’s talk about shadows (2004) per clarinetto, violino e pianoforte, uno dei suoi primi lavori, scritto per strumenti diversi, ma che già miravano a fondersi in un unico amalgama timbrico, pieno di ombreggiature dal carattere impressionistico. Per ascoltare la musica della Janulyte in Italia si può andare a maggio a Roma, al Festival Flux, dove verrà presentata una nuova versione Psalm (2008), a giugno a Reggio Emilia, al Festival del Quartetto, che ha commissionato alla compositrice lituana un pezzo per cinque quartetti, quasi un’istallazione, da eseguirsi en plein air.
Immagine di copertina © D. Matvejev