Un Ballo in maschera alla Fenice di Venezia

in News
  1. Home
  2. News
  3. Un Ballo in maschera alla Fenice di Venezia

Dopo diciotto anni di assenza, Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi ritorna alla Fenice inaugurando con successo la Stagione 2017/18, la prima firmata dal neo Sovrintendente e Direttore Artistico Fortunato Ortombina.

La scelta di affidare la direzione musicale all’esperienza di Myung-Whun Chung, proponendo al contempo un nuovo allestimento firmato dal giovane Gianmaria Aliverta, rappresenta una conferma della linea artistica seguita in questi anni dalla fondazione veneziana che affianca la valorizzazione del repertorio di tradizione a nuovi tagli registici.

Aliverta scorge nel titolo verdiano, oltre al conflitto passionale, anche un dramma politico e coerentemente con questa lettura pospone la vicenda dalla Boston della fine Seicento, come era nelle intenzioni del compositore e del librettista Antonio Somma, all’epoca in cui l’opera viene composta, nel ventennio tra 1867 e 1887, periodo in cui si conclude la guerra di Secessione americana e viene proclamata l’abolizione della schiavitù.

L’intuizione consente di riportare alla luce senza eccessivi stravolgimenti drammaturgici il latente spirito rivoluzionario del soggetto, originariamente ispirato all’omicidio del monarca svedese Gustavo III avvenuta nel 1792, plot più volte riadattato per venire incontro alle richieste imposte dalla censura borbonica e papale.

Campeggiano dunque sulla scena la bandiera americana e, nella parte finale del dramma, l’immagine della statua della libertà, simboli che rivelano però poco per volta una valenza duplice: lo stendardo si distende generando una sorta di parete divisoria, impedimento alla realizzazione del sogno d’amore di Riccardo e Amelia; il monumento newyorkese si spezza invece in quelle che sono le sue due componenti, la testa di donna e la fiaccola, intese non più come simboli della dea ragione e della libertà ma come emblemi di una passione infuocata e accecante che cancella gli equilibri relazionali e deforma le identità dei personaggi.

Il luogo dell’autocoscienza collettiva si sposta allora, grazie a un’altra felice intuizione del regista piemontese, nell’antro dell’indovina Ulrica, il solo spazio del dramma in cui è possibile guardarsi coraggiosamente allo specchio.Tutto riluce di tetro e la stessa struttura, animata da specchi mobili, palesa la propria ambivalente natura sollevandosi per fare emergere dal fondo della terra i personaggi che di volta in volta vengono a confessarsi dalla maga, autentica regista della vicenda e unica depositaria del vero.

La luce curata da Fabio Barettin assume un ruolo di rilievo anche nel secondo atto,  scolpendo il dirupo scosceso realizzato da Massimo Checchetto, concepito come un’agile struttura girevole che consente allo spettatore di mutare il punto di osservazione.

La direzione di Chung si sposa perfettamente con le scelte registiche evidenziando la bivalenza di un dramma teso tra la brillantezza degli stilemi francesi, affidati alla vocalità limpida e vivace di Serena Gamberoni (Oscar) e la tragicità dell’opera italiana, particolarmente efficace nel Riccardo nobile e appassionato di Francesco Meli e nell’acceso Renato di Vladimir Stoyanov, che dona il meglio di sé soprattutto nei due atti finali.

Sinuosa e avvincente l’indovina Ulrica di Silvia Beltrami mentre più appannata è apparsa Kristin Lewis, provata da un’influenza che, se da una parte ha inciso sulla potenza e l’agilità dei mezzi vocali, dall’altra non ha comunque impedito al soprano americano di illuminare la struggente dolcezza e l’intimo ripiegamento di Amelia, tra i personaggi più amati da Verdi.

Buoni gli inserimenti di Simon Lim (Samuel) e Mattia Denti (Tom), abilmente risolti gli interventi del coro, che Chung sempre intreccia allo sviluppo interiore dei protagonisti. L’orchestra della Fenice trae giovamento da una concertazione snella, effervescente, che rinuncia a esteriori compiacimenti sentimentali per esaltare la complessità e l’audacia dello scavo psicologico verdiano.

Prove aperte alla Filarmonica della Scala
Humboldt-Universität: una conversazione con Simon Reynolds

Potrebbe interessarti anche

Menu