La sala del Teatro Nuovo Giovanni da Udine è gremita. L’appuntamento è quello dello scorso 15 febbraio con la Budapest Festival Orchestra, considerata una delle dieci migliori orchestre del mondo dalla rivista Gramophone. Sul podio, colui che nel 1983 l’ha fondata con lo scopo di offrire a Budapest un’orchestra sinfonica di livello internazionale, il direttore di origine ungherese Iván Fischer.
Il programma è monografico, un omaggio a Igor Stravinskij. Le luci si abbassano i musicisti sono posizionati sul palco. La serata si apre con i Four Norwegian Moods, l’orchestra attacca mentre Fischer arriva sul palco: è la prima delle “note di colore” che saranno proposte nel corso della performance. Nate nel 1942 queste pagine furono concepite dal genio russo come musica di commento per un film sull’invasione nazista della Norvegia ma presto, sottratte all’utilizzo dell’industria cinematografica, diventarono un pezzo autonomo conosciuto anche come Quatre pièces à la norvegienne. L’ispirazione gli venne da alcuni motivi popolari norvegesi.
La compagine orchestrale ungherese colpisce per compattezza e amalgama timbrico, gli equilibri sonori appaiono curati nel dettaglio e mai si scorge una voce fuori dal coro. L’insieme è fluido e Fischer plasma la massa sonora come fosse uno strumento tra le sue mani. Seguono lo Scherzo à la russe, composto nel 1944 su invito del famoso direttore di jazz-sinfonico Paul Witheman, e Tango in cui dalla fila dei secondi violini due professori si alzano dalle sedie per iniziare a volteggiare intorno al podio trasformandosi in tangueri. La “temperatura” dell’intrapresa coreutica è forse ben lontana da quella ideale ma risulta degna di nota la versatilità dei due. Il momento di maggiore pathos si raggiunge con la Sinfonia dei Salmi, icona del neoclassicismo novecentesco concepita, nel 1930, in occasione del cinquantenario della Boston Symphony Orchestra ed eseguita insieme al Cantemus Kórus, tra gli ensemble vocali più apprezzati in Ungheria, diretto da Soma Szabó.
Le voci incantano, l’interpretazione è rigorosa ma densa di espressività, nonostante la mancanza in organico delle file di violini e viole e la disposizione in avanti degli ottoni l’equilibrio sonoro delle sezioni risulta perfetto. Violoncelli e contrabbassi contribuiscono a rendere tangibile, con la propria ricchezza timbrica, il senso della parola “sinfonia” nell’accezione rinascimentale del termine di “unione armonica di suoni e canti”, ben lontana dall’idea di sinfonismo austro-tedesco.

Dopo un breve intervallo è il momento del capolavoro stravinskijano assoluto, Le sacre du Printemps, presentato dai Ballets Russes di Djaghilev nel 1913 al Théâtre des Champs Élysées, occasione in cui vi fu una clamorosa insurrezione degli spettatori. Una musica in qualche misura violenta, aspra, spigolosa e trasgressiva, tanto da rappresentare un segno di vera e propria rottura con l’idea di assoluta piacevolezza dell’arte musicale. La lettura di queste celebri pagine sottolinea il carattere e la personalità prorompente di un’orchestra estremamente energica, solida e compatta. Le nuance di colori muovono da pianissimo mozzafiato a fortissimo mai gridati.
La gioia del “far musica” si legge nelle espressioni, nei volti. Il controllo tecnico è notevole, il disegno musicale tracciato dalla bacchetta diventa forma sonora. Un magico fluido che sinuoso avvolge, trascina. Il pubblico apprezza. Applausi scroscianti. Il bis è una gradita sorpresa: l’Ave Maria di Stravinskij per coro a cappella che questa volta vede protagoniste le voci dei musicisti. Il risultato è davvero apprezzabile. Quando si dice essere davvero musicisti.
Immagine di copertina: Iván Fischer Ph. Marco Borggreve