In un’epoca in cui le messe in scena dei melodrammi sembrano essere diventate un’occasione per permettere all’estro dei registi di travisare il più possibile le indicazioni in corsivo contenute nei libretti – scatenando le più varie reazioni da parte degli ascoltatori, Arnaud Bernard ricorda al pubblico del Teatro Petruzzelli di Bari quanto l’adesione al testo possa essere tutt’oggi un percorso ermeneutico affidabile per permettere ad un lavoro “vecchio” più di un secolo e mezzo di parlare la lingua del nostro tempo. Sotto gli occhi del regista e costumista francese il Rigoletto, raccontato senza rinunciare a gorgiere e merletti, diventa il dramma del conflitto tra la solitudine umana e la società contemporanea,
La società è l’edificio del sapere animato da occhi altrui sempre affamati di giudizi. Questa alterità è impersonata dal coro maschile, il quale come nella Lezione di anatomia del dottor Tulp (I atto) osserva stupito e distratto Monteroni maledire il proprio giullare preferito e interviene nel buio del fraintendimento quasi esclusivamente per complicare la trama della vicenda. Al sicuro dietro le linee prospettiche della loro Città ideale (II atto), gli uomini guardano Rigoletto comportarsi come un topo ingabbiato nelle conseguenze delle loro supposizioni mentre la sua voce tenta di dimenarsi nella disperazione di «Cortigiani, vil razza dannata». Osservazione, ipotesi ed esperimento: l’arma della scienza puntata contro la gola dell’uomo.
Il palcoscenico diventa per Rigoletto un vetrino e la sua essenza può essere messa a fuoco in ogni elemento da parte dello spettatore. L’uomo si scopre spezzato in una dualità inconciliabile: dal lato pubblico il buffone, lunga lingua per deridere chiunque gli passi a tiro; dal lato privato il padre, braccia forti per proteggere la figlia dagli agguati della società. In questa regia del melodramma – che sembra dare relativamente poca importanza al classico tema della maledizione – Rigoletto è un uomo irrimediabilmente sconfitto prima ancora che Gilda muoia sotto una pioggia di pagine (III atto). Egli guarda la figlia trascinarsi tra gli ultimi aneliti sul pontile e chiedere perdono per sé e per il duca, ma non interviene se non per un fuggevole abbraccio “di tradizione”. L’uomo, vittima della scienza, raggela le emozioni nell’immobile sguardo della sconfitta e da oggetto di indagine diviene il soggetto che studia estraniato il compimento della propria tragedia.
Bernard legge il dramma verdiano in una chiave che si associa felicemente a quello che Roberto Mordacci definisce come “neomoderno”. Superati i vortici delle interpretazioni-pastiche che la postmodernità continuava a proporre, il regista contemporaneo può guardare alla genuinità delle opere del passato attraverso una nuova critica, volta a cogliere il contemporaneo nel passato, l’eterno nello storico – o magari storicizzato. La conduzione placida di Giampaolo Bisanti e tutto il cast concorrono a rendere questo Rigoletto uno spettacolo «qui donne à penser».
Immagini Ph. Immagina