Un luogo in cui mettersi in discussione, un luogo in cui ripensare le pratiche musicali e musicologiche, un luogo in cui creatività e ricerca possano confrontarsi. La mission della nuova rivista open acces (in inglese) dell’Università di Milano “Sound Stage Screen” è a dir poco ambiziosa.
Ma guardando il board editoriale posto a garanzia del “cantiere” possiamo essere fiduciosi: Alessandra Campana (Boston), Angela Ida De Benedictis (Basel), Christopher Morris (Maynooth), Nina Eidsheim (Los Angeles), Piersandra Di Matteo – Iuav di Venezia nonché dramaturg di Romeo Castellucci – la sound artist australiana Gail Priest ecc.
L’orientamento, capite bene, è fortemente proiettato in senso internazionale. Ne abbiamo parlato con uno dei due Editor della rivista, Emilio Sala (che voi lettori di Amadeus conoscete bene); l’altro co-editor è Giorgio Biancorosso, che vive e lavora a Hong Kong…
Perché creare una nuova rivista scientifica? E come si colloca nel panorama nazionale/internazionale?
Il “perché” è semplice. Io e un gruppo di amici ne sentivamo da un po’ di tempo l’esigenza. Lo sviluppo della rete e la possibilità di essere supportati dal portale riviste.unimi.it ci ha convinti a trasformare l’esigenza in un progetto vero e proprio. L’ottima accoglienza che il progetto ha ricevuto presso i vari colleghi e interlocutori sparsi per il mondo a cui lo abbiamo sottoposto ci ha poi ulteriormente convinti. L’idea di una rivista in inglese open access che guardi alla performance musicale del passato e del presente in chiave interdisciplinare e intermediale ci pare che possa essere una buona idea. Il processo di (ri)media(tizza)zione delle pratiche musicali e musicologiche in una società che da “liquida” è diventata ormai “gassosa” (e post-mediale) richiede un luogo di riflessione collettiva e un cantiere in cui la ricerca sappia anche rimettersi in discussione, ridefinirsi. Questo luogo, che abbiamo immaginato, lo abbiamo chiamato Sound Stage Screen.
Dal board si intuisce la chiara volontà di far dialogare teoria e pratica artistica. Qual è la mission di SSS?
Nell’editoral board sono presenti colleghi che, pur lavorando nel contesto accademico, svolgono anche un’attività artistica. Questa della “practice-led research” e della “research-led practice” non è certo una novità. Basti pensare al ruolo del dramaturg in campo operistico o all’importanza del rapporto tra ricerca musicologica e prassi esecutiva nel campo della cosiddetta “early music”. Ma promuovere e approfondire questo tipo di inte(g)razione significa anche pensare a una musicologia più vicina al mondo dell’arte e delle pratiche artistiche. Ogni numero della rivista conterrà una sezione più “militante” che esplorerà a più voci un tema specifico. Il primo sarà curato da Piersandra Di Matteo e tratterà appunto della figura del dramaturg nel teatro d’opera (e non solo) contemporaneo. Come si è trasformato il ruolo del dramaturg nel Regietheater degli ultimi anni? Che rapporto c’è tra drammaturgia e regia? Come è mutato il significato del termine drammaturgia da Lessing a oggi? Per quanto riguarda il “mission statement” di SSS, è frutto di un lavoro collettivo e lo potete leggere nel sito: About.
La piattaforma web è predisposta per i numeri semestrali accademici; c’è però anche una sezione con pezzi “sciolti” in continuo aggiornamento…
La scelta di usare la rete e la filosofia open access si accompagnano al desiderio di aprire uno spazio ulteriore in cui postare nuovi contenuti (news, recensioni, video-interviste, video-essays, ecc.) il cui fine è da una parte quello di attirare l’attenzione su eventi o questioni su cui riflettere, dall’altra quello di creare una sorta di immaginario, ma anche di “sonario”, di SSS. Questa sezione si chiama Auditions. Altre riviste accademiche on-line sviluppano questo tipo di “medium specificity” e credo che sia un importante valore aggiunto per i numeri a scadenza semestrale di approfondimento musicologico. Il fine è anche quello di espandere la musicologia extra moenia.
Come giudichi il dibattito attuale, in Italia, attorno alla musica e alle arti performative?
Nella musicologia italiana la situazione è un po’ paradossale perché, anche se il termine “performance” è di moda (ormai da vent’anni), è da noi mancato nei lustri scorsi un reale confronto con il cosiddetto “performative turn” che ha segnato così profondamente il sapere musicologico (e non solo) a livello internazionale. Comunque, più che di “dibattito” (una parola molto da anni Settanta del XX secolo), credo che la cultura musicale abbia bisogno di ripensarsi, così come molti altri campi disciplinari. Invece prevale spesso un atteggiamento difensivo e talvolta anche risentito. La musicologia italiana gode di buona salute, a giudicare dall’alto numero di studenti italiani che lavorano nei dipartimenti d’oltralpe e anche “overseas”, ma è ancora troppo chiusa in se stessa.
Musicologia, critica musicale, divulgazione; sono etichette che hanno ancora senso e valore oggi? Sono vasi comunicanti o compartimenti stagni?
Appunto: si tratta di categorie, strettamente interconnesse, la cui ridefinizione è in atto e alla cui riconfigurazione (inevitabile) sarebbe importante che partecipassimo in termini più costruttivi. Il che significa senza piagnistei “apocalittici”. Nel transculturalismo del mondo globale come riconcettualizziamo o narriamo (in senso storiografico) il rapporto tra musica occidentale e musiche di altre tradizioni? L’alterità delle musiche non occidentali nasconde quel tipo di ascolto che Edward Said chiamò “orientalismo”. Ma come funziona, ribaltando l’assunto, l’ascolto “occidentalista”? La rivista avrà un forte orientamento transculturale. Non a caso, dei due editors, uno (io) vive e lavora e Milano, mentre l’altro (Giorgio Biancorosso) sta ad Hong Kong.
Quali sono i prossimi step di SSS?
Abbiamo pubblicato la “call for submissions” per il primo numero e stiamo già preparando i temi per i forum delle prossime uscite. “Electronic music theater”: questo è un argomento che ci interessa particolarmente anche perché abbiamo in mente di organizzare un convegno a Milano all’interno del quale dedicare una sessione alla collaborazione tra Romeo Castellucci e Scott Gibbons. Ma la rivista è ancora in gestazione e anche per scaramanzia bisognerà aspettare l’uscita del primo numero per capire quali dovranno essere i passi ulteriori da intraprendere.