Seventh Heaven ovvero Il capolavoro ritrovato

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Frank Borzage è nome che, probabilmente, non dirà molto al moderno spettatore. Eppure crediamo di non esagerare nel giudizio se osiamo collocare il cineasta statunitense tra i più grandi di tutti i tempi, di una grandezza non seconda a quella di Chaplin Murnau Eisenstein Hitchcock, e che il tempo non mancherà di riconoscergli.

Il suo 7th Heaven (USA 1927), che abbiamo ammirato a Bologna nel restauro della 20th Century Fox (in collaborazione con il MoMA), è un fulgido diamante: un melodramma improntato alla lezione del naturalismo francese, che alla maniera di un romanzo storico di fine Ottocento narra lo sbocciare dell’amore fra un bonario lavastrade e una melanconica ladruncola, sullo sfondo di una Parigi noir, tra bassifondi putridi e soffitte marcescenti, sulla quale incombe la minaccia della guerra. Una pietra miliare insomma, ingiustamente misconosciuta, che meriterebbe di figurare in un ipotetico canone cinematografico: ossia quel museo immaginario di opere che hanno fissato il linguaggio e l’estetica della cosiddetta decima musa.

Su questo autentico capolavoro dell’era del muto, la musica di Timothy Brock calza come un guanto. La partitura – composta su commissione della Orchestra Philarmonique de Radio France e qui magnificamente eseguita dall’Orchestra del Teatro Comunale – meraviglia più di tutto per la naturalezza con cui fonde insieme, in maniera affatto originale, l’intero spettro stilistico coevo.

La prima parte del film vede l’esposizione dei Leitmotive associati ai personaggi principali e destinati a fare da filo conduttore attraverso le trame della narrazione. La seconda parte del film, dominata dalle scene della battaglia della Marna, è invece improntata a una illustrazione motorica memore delle coeve musiche meiseliane per i film di Eisenstein e Ruttmann (si pensi a Bronenosec Potemkin o Berlin. Eine Symphonie der Großstadt): ostinati ritmico-motorici, segnali atematici, dissonanze sferzanti, processi di accumulazione, accanto a sonorizzazioni referenziali di assoluta pertinenza stilistica, dal clacson delle automobili ai segnali militari, dal boato dei cannoni al ribollire della caffettiera.

Brock non solo spazia, da autentico poliglotta, da una galassia all’altra dell’universo del muto, ma sa dosare, da esperto drammaturgo, il peso delle diverse componenti del testo audiovisivo: non tedia lo spettatore con una sterile sovrabbondanza sonora (errore, questo, piuttosto comune tra i “professionisti” del muto), ma sa alternare zone di stasi, in cui la musica retrocede quasi a mera quinta sonora, a momenti di spicco, in cui essa prende letteralmente il sopravvento sulle altre componenti della narrazione.

La sua musica disegna in tal modo una curva drammaturgica coerente con gli accadimenti filmici, ne rispecchia il ritmo narrativo con mezzi propri, anziché imporre loro un disegno formale precostituito e, perciò stesso, estraneo a essi.

Immagini Ph. Lorenzo Burlando

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