Pochi sono i casi in cui un compositore ha l’onore di assistere, in positivo e in grande, all’evolversi dei suoi lavori ancora in vita. Philip Glass sembra essere uno di questi.
Per lui che ha da poco varcato la soglia degli ottanta, infatti, le sue note dal carattere ipnotico appaiono scorrere sempre come un qualcosa di innovativo, nonostante il suo stile sia ormai ben più che consolidato.
Ed è così che il coreografo belga Sidi Lauri Cherkaoui ha pensato a una Satyagraha tanto convincente da meritare una bella ovazione al Komische Oper di Berlino, spazzando via tutti i pregiudizi su i “coreografi – registi teatrali” spesso aspramente criticati, particolarmente in terra tedesca. Le movenze dei suoi ballerini della compagnia Eastman di Anversa raccolgono un miscuglio di generi diversi, dalla break dance al gusto per l’oriente tanto attinente per un lavoro come questo, in lingua sanscrita, che trae ispirazione dalla storia del Mahatma Gandhi.
Coreografie sinuose che ben si sposano con i ritmi magnetici di Glass, sin dal primo atto, ambientato in un campo di battaglia in Sudafrica dove Gandhi chiede al dio Krishna se egli abbia o meno il diritto di combattere. Qui, pian piano, i corpi dei ballerini sembrano quasi raffigurare l’evolversi della prima aria di Gandhi che crescerà dapprima in un duetto, poi in un trio, da un ritmo lento a uno sempre più concitato, nel perfetto stile glasssound. In tutte le tre scene, i seguaci di Gandhi ( un valido coro ) indossano le vesti blu come la pelle del dio Krishna che ha insegnato loro la non esistenza “di amici, né nemici, né sconfitte, ma una sola cosa: la verità”. A narrare le vicende del Mahatma, dalla scena della Tolstoy Farm alla costituzione del giornale Indian Opinion in poi, sono delle lavagne giganti, dove vengono raffigurate di volta in volta case, oggetti e riflessioni. C’è poi una danza che si mischia a musica, che a sua volta si mischia ai colori, quelli delle vernici che, attraverso i passi dei ballerini, sgocciolano da mani e piedi per creare figure diverse, astratte, quasi fossero la brutta copia di un quadro di Pollock.
È una messa in scena che però nonostante ciò rimarca un concetto estremamente essenziale, macchiato però tuttavia da scontate scene di nudo, quelle nello specifico, del terzo atto, quando nel corso dell’importante marcia su “Newcastle” i ballerini si vanno pian piano svestendo – con qualche scritta sul petto di stampo anti razzista – fin quando non compare anche qualche nudo integrale. Elemento quest’ultimo che sembrerebbe voler dire che senza le vesti forse gli esseri umani sono tutti uguali, ma che nonostante ciò pare abbia un po’ stancato il pubblico berlinese, ormai troppo abituato a certe consuetudini. Non c’è da stupirsi se a Berlino ormai le scene di nudo, in teatro, ma probabilmente anche per strada, non riscuotono più un certo scalpore!
La scelta del cast però è eccellente. Bravo Stefan Cifolelli ( Gandhi) al quale non solo si riconosce un’ottima presenza scenica – lui è di fatto Gandhi, nelle movenze e negli sguardi – ma anche un raro e piacevole timbro vocale. Particolarmente apprezzabile nella bellissima e delicatissima “evening song” del terzo atto. Brave anche Cathrin Lange ( Miss Schlesen, la segretaria), Mirka Wagner ( Naidoo), Karolina Gumos ( Kasturbai), compatte nei loro terzetti glassiani super sofisticati. Nel cast anche due giovani promettenti dell’opera studio del Komische Oper: Katarzyna Wlodarczyk ( Mrs. Alexander) e Samuli Taskinen ( Krishna). Non male anche Timoty Oliver ( Arjuna), Tom Erik Lie ( Mr. Kellenbach) e Tomasz Wija ( Rustomjk ).
Pareri contrastanti, invece, sulla direzione di Jonathan Stockhammer, c’è chi ha percepito un glassound poco fluido, ma chissà che la colpa non sia stata in parte dell’orchestra? Ad ogni modo non si può di certo dire che questo Satyagraha non sia stato un successo. Philip Glass possiede tutt’oggi un gran buon Karma.