L’incontro con il leggendario violinista Ivry Gitlis, ora novantacinquenne, avviene in Piazza del Comune a Cremona, durante CremonaMusica 2017. Nella prestigiosa fiera cremonese, Ivry Gitlis ha ricevuto il CremonaMusica Award per la categoria “Performance”, ma ciò che sembra aver apprezzato di più sono state le lunghe serate trascorse in piazza, chiacchierando con musicisti e liutai e improvvisando con ragazzi per strada. A poco valgono le domande preparate e nel corso di una lunga intervista ho modo di vagare lungo la sua persona, assecondando i suoi rapidi cambi di argomento.
Maestro Gitlis, lei ha sempre avuto uno stile molto personale…
Un cosa? Cos’è uno stile personale? Cosa significa? O sei una persona o non lo sei. Se sei una persona, hai uno stile personale. La sensazione è quella del riconoscere un amico, niente che definirei stile. Che altri generi di stili potresti mai conoscere?
E se uno non avesse uno stile?
Non avere uno stile significa non suonare. Cosa significa stile, poi? Per me non vuol dire nulla. Pensi che Picasso avesse uno stile? No, era Picasso dall’inizio alla fine. Ha vissuto tutto di persona, ha attraversato tutto da solo, incluse tutte le donne, quella era la sua arte!
Per queste sue posizioni lei è stato spesso criticato.
Beh, è assolutamente loro diritto. Si vede che non hanno nient’altro da fare. Il pubblico critica sempre tutto, ma non critica mai se stesso.
Come ha fatto a non crollare, a mantenersi felice?
Non sono sempre felice. Solo gli idioti sono sempre felici. Per me cambia tutto in base al punto di osservazione. Prendi un tunnel, entrata e uscita dipendono unicamente dal lato da cui lo stai osservando e la stessa cosa può avere nomi e significati diversi. Quale delle due sceglieresti se ti trovassi nel mezzo del tunnel? Alla fine, incapace di decidere, te ne starai là finché non crollerà il tunnel per un terremoto. Mille anni dopo riscopriranno il tunnel e ci troveranno delle ossa: le tue, che nell’indecisione sei stato fermo e non hai scelto dove andare e come guardare le cose.
E come si capisce in che direzione andare?
Non ne ho idea, ancora non sono passati i mille anni! (ride)
Abbiamo visto che il termine stile non ha per lei alcun significato, cosa ne pensa del discorso “approccio” al violino?
Io non ho alcun approccio al violino. Anche perché è stato il violino a venire da me. Che poi, che cosa si intende con approccio? Io non approccio il violino, il violino esiste e basta. Il mio violino ha oltre trecento anni, trecento anni fa io non ero ancora nemmeno a scuola! (ride) Quindi che approccio vuoi che cerchi? Un infante non approccia il cibo alla sua bocca, non ha bisogno di nessun approccio o di nessuno che gli dica come fare a succhiare il latte dal seno della madre. Molto sfortunatamente, tuttavia, troppo spesso e troppo presto arriva qualcuno a spiegargli ed insegnargli come fare persino qualcosa di così naturale. E questo è la fine di tutto. Tutti i bambini sono tutti dei geni all’inizio, poi qualcosa li rovina.
Quindi non crede in accademie e scuole…
Io credo nella scuola, perché è una edificio e quando piove ci puoi trovare rifugio! (ride) Le scuole sono state costruite come Dio è stato creato da noi, per spiegarci perché siamo qui. Ma Dio non ci ha mai spiegato perché ci porta via o perché abbia sentito il bisogno di crearci. L’abbiamo creato perché ci creasse e poi non ci ha nemmeno spiegato il perché.
Se le scuole sono semplicemente un edificio, come e dove può un giovane trovare gli strumenti per migliorare come musicista?
Te lo dico subito: la risposta è poco interessante. Essere migliori o meno non è mai stato un più problema, né lo sarà. (del rumore infastidisce Gitlis) Questo rumore è il problema. Lo so, non possiamo essere soli nel mezzo del deserto, ma di fatto siamo peggio che soli nel mezzo del deserto.
Perché?
Perché nel deserto puoi sentire tutto e puoi non sentire tutto, mentre qui non puoi farci niente. E la cosa è molto diversa.
Quindi come fa a vivere in questo mondo?
Non ce la faccio, infatti. Non ne sono felice, ma non ne sono neanche infelice, perché non posso farci niente. Certo, potrei suicidarmi, ma poi avrei bisogno di comprare un revolver, poi non saprei come usarlo, potrei sparare a qualcun altro per sbaglio, insomma troppa fatica.
Sarebbe anche poco interessante, con tutto ciò che c’è da scoprire e da vedere. Lei è curioso?
Io? Curioso? È l’unica cosa che mi tiene vivo! La curiosità è la più grande delle motivazioni, è il combustile del motore che muove la macchina, musica inclusa. Ma non è qualcosa di deciso. Non si è curiosi perché si vuole essere curiosi, lo si è e basta. Ma certo che è molto difficile essere curiosi e concentrarsi in un mondo così rumoroso e permeato di questa vuota cacofonia.
Era diverso quando lei era giovane?
Io ero un po’ più sordo, ma sentivo altre cose. E forse qualcosa sentiva me. Ma l’età non vuol dire nulla, è la solitudine. È un peccato notare quanto siamo minacciati dalla nostra stessa paura della solitudine. Per colpa di questa le persone si aggrappano l’une alle altre. Ogni tanto mi chiedo come sarebbe vivere da eremita, stare veramente in un deserto, in un monastero in cui non vedi niente e nessuno, nemmeno le ombre. Quella è solitudine assoluta. Alla fine, però, siamo tutti soli. Si nasce soli e si muore soli. E questo piccolo intervallo che chiamiamo vita è probabilmente il viaggio più solitario possibile. Una brutta abitudine di questo viaggio è la costante necessità di provare la propria esistenza, di dimostrarsi più in alto di altri, tutto per cercare di compensare una carenza di attenzioni ricevuta, probabilmente la stessa carenza di attenzione che riserviamo agli altri. Guarda quel bambino aggrappato al petto del padre, presto sarà troppo pesante per essere trasportato e dovrà iniziare a camminare da solo, lontano dalla sicurezza del genitore. Queste sensazioni mi ricordano un po’ la capacità di Marcel Marceau, il mimo, di urlare nel più totale silenzio. Da musicista cerco di esprimere la stessa sensazione, non per forza suonando forte. Suonare per me è anche tradurre un frammento della mente e dell’immaginazione di qualcun altro. Per questo improvviso anche moltissimo, non avendo mai avuto la pazienza di studiare come scrivere musica, l’abilità di buttare giù rapidamente ciò che passa per la mente. È un istante troppo veloce, ti arriva un’idea, corri a prendere un pezzo di carta, una penna, ti siedi per scrivere e quest’idea non c’è già più. Sarebbe una grande invenzione la capacità di registrare automaticamente tutto ciò che si pensa!
L’esecuzione di fronte ad un pubblico, che sia interpretazione di repertorio o improvvisazione, le permette di creare un contatto con le persone, di farle sentire meno sole?
Può essere anche visto dal lato opposto. Loro possono farti percepire che ti amano, che ti vogliono bene, esprimendo quasi una preghiera, stando in silenzio ad ascoltarti. Non so chi ha inventato questa cosa del concerto in cui ti piazzi su un palco e suoni, ma c’è qualcosa di abbastanza liturgico. Certo, questo ha portato anche tutta una serie di regole, considerando che per un periodo il pubblico poteva parlare e mangiare durante un concerto.
Parlando di regole, come sopravvive in questo mondo?
È un po’ come fare surf. Non vai contro l’onda, l’onda va con te e tu vai con l’onda. Così funziona e non ti ammazzi. In questo mondo odierno, però, è difficile. Non sono affatto felice per i giovani nati in questo momento: questo rumore, tutte queste voci, questo bisogno assoluto di provare che si è vivi. Trovo insopportabile soprattutto il rumore di ciò che riconosco, non quello anonimo. Sono molto distratto dalle voci delle persone che conosco.
E non da quelle degli sconosciuti?
No, perché sono parte di ciò che succede al di fuori. Ma chi invece ti conosce e sceglie di continuare a fare rumore, è estremamente fastidioso.
Un’ultima domanda: qual è la sua relazione con le donne?
Faresti prima a chiedermi cosa non è una relazione con le donne. La prima relazione con una donna che hai è quella con tua madre, nel cui ventre passi i nove mesi più belli della tua vita. Che peccato esserne usciti!