#Reviews Libri: i romanzi in musica di Leveratto e Wellber

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Musica e letteratura come un binomio inscindibile, appagante, quasi liberatorio. Suono e scrittura, leggio e macchina da scrivere, orecchio e sguardo come fonte di piacere e godimento estetico, in questi aspri momenti di pandemia. Sembrano proprio alcuni possibili motti vincenti formulati dall’editrice Sellerio, che ha mandato sugli scaffali due piccole gemme sgusciate dai cassetti di importanti musicisti e interpreti sul campo.

Il più sorprendente è il battesimo narrativo di Pietro LeverattoIl silenzio alla fine, raffinato contrabbassista jazz di lungo corso, docente di composizione afroamericana al Conservatorio di Santa Cecilia e già autore nel 2014 per Sellerio di un volume piacevolissimo intitolato Con la musica. Note e storie per la vita quotidiana: intrigante compendio enciclopedico di appunti, suggerimenti d’ascolto e riflessioni sul mondo del pentagramma, guidate con mano ferma e fervida fantasia.

L’altro invece è Storia vera e non vera di Chaim Birkner del direttore d’orchestra israeliano (palermitano di residenza, dopo la recente nomina stabile al Teatro Massimo) Omer Meir Wellber (nella foto di copertina), che da bacchetta in ascesa e brillante musicista eclettico (è pure un apprezzato virtuoso di fisarmonica) ha scritto questo romanzo che guarda alla storia di Israele e al tema della Shoa in una prospettiva diversa: un mondo di 108 anni (tanti ne conta il protagonista, quando inizia a raccontare la sua vita nel futuro distopico del 2030) procedendo a ritroso dalla Budapest danubiana in cui era nato alla Palestina, tutto dipanato fra guerre, conflitti intestini e fughe dal kibbutz.

Ma forse ancor più irrefrenabile, energetico e quasi inscindibile nella dialettica fra plot narrativo e ricerca d’ambiente è il romanzo di Leveratto: ordito come un giallo storico, ma sapido di atmosfere corrusche sulla New York anni Trenta, post-Grande Depressione, in bilico fra malavita e proibizionismo. Un meandro di luoghi cupi, oscuri, messi però in controluce anche sul filo di una sottile ironia che scorre fra personaggi veri (il cavalier Benito Mussolini, il direttore della FBI John Edgar Hoover), avvenimenti autentici di noir (il rapimento Lindberg) e profili del tutto immaginari: ad esempio quello di Gaspare Tiralongo, camicia nera antemarcia approdato a East Harlem – via Milano – dalla lontana Sicilia di campagna, con ormai nella mente gli stuoli di obelischi della Roma imperiale. Ma pure figure che sembrano ripercorrere, con appena qualche decennio di ritardo le vicende dell’ebreo austriaco Gustav Mahler (qui un po’ vagheggiato dal personaggio di David Weissberg) le cui complesse relazioni con il collega e amico-rivale italiano Andrea Bergallo complicheranno la trama, in quel tipico sottobosco di piccole gelosie e ricatti ben note a chi suona. Resta il contorno di personaggi affatto marginali (l’imprenditore musicale De Dominicis, la cameriera nera Julia Wright) ma soprattutto un mondo pulsante di suoni e armonie blues che Leveratto non solo ha accuratamente perlustrato leggendosi cartine, mappe della metropoli sulle rive dell’Hudson e giornali d’epoca, ma conosce bene da decenni, avendo fra l’altro lavorato con un gigante del calibro di Chet Baker.

Ps: Non paga di questa infornata sonora, la casa editrice siciliana scende in campo anche con un altro titolo. Lo spettatore musicale di Piero Violante. Questa volta un ricamo di saggi che il docente di Storia delle Dottrine Politiche e Sociologia della Musica all’Università di Palermo ha steso partendo (guarda le coincidenze) da America di Kafka, il libro che Theodor W. Adorno portava con sé quando sbarcò nel 1938 davanti alla Statua della Libertà, come il protagonista di quel romanzo Karl Rossmann. Mettendo però anche in rapida sequenza profezie e indagini storiografiche: dallo Schubert ripristinato in chiave fedele e allora meno canzonettistica nel ciclo dei “Concerti dei lavoratori viennesi” durante gli anni di Weimar al (nuovamente) Gustav Mahler ritratto nel vortice creativo della sua Seconda Sinfonia. In più con interventi su Richard Strauss, un Alban Berg ritratto nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, l’ultimo enfant prodige Korgold in esilio a Hollywood e poi ancora il trauma di Auschwitz e la simbologia numerica di Georg Friedrich Haas. Altro genere appunto, ma sempre di pregevole lettura.

 

Luigi Di Fronzo

 

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