«Le Divine sono persone importanti, come tutte quelle di cui si ha bisogno acciocché le cose succedano», sostiene Enrico Insabata, il protagonista del romanzo di Rodolfo Celletti Tu che le vanità.
Cecilia Bartoli non fa certo eccezione: “divina” dei nostri giorni, con la sua duttile vocalità e il suo carisma travolgente da suprema regina delle scene. Ogni appuntamento che la vede protagonista si trasforma in qualcosa di memorabile. Così è accaduto lo scorso 18 agosto all’Auditorium Oscar Niemeyer di Ravello quando il mezzosoprano romano, insieme al “suo” ensemble Les Musiciens du Prince-Monaco con cui collabora regolarmente dal 2016 e diretto da Gianluca Capuano, ha presentato per la prima volta – dopo i difficili mesi minati dalla pandemia – il concerto What passion cannot music raise – Händel and his time, uno fra gli eventi più attesi del ricco cartellone del Ravello Festival, che per la sua 68a edizione (sino al 13 settembre) vanta la presenza di altre guest stars, fra cui Martha Argerich, Riccardo Muti, Beatrice Rana, Valery Gergiev e Brad Mehldau.
La Bartoli torna quindi a emozionare il suo pubblico affezionato – in platea, a sorpresa, anche la celebre attrice Catherine Deneuve – con un florilegio musicale dai profumi varî, ora intensi ora lievi, per esaltare tutte le differenti passioni del teatro barocco – il titolo già lo suggerisce per virtù “ceciliana”: l’omonima aria della Ode for St. Cecilia’s day corona, non a caso, il programma. Accanto al miglior repertorio di Händel, pagine di Vivaldi («Sol da te mio dolce amore») e Porpora («Vaghi amori», «Lusingato dalla speme»), inframmezzate da inserti strumentali in cui hanno modo di destreggiarsi superbamente Jean-Marc Goujon (traversiere), Thibaud Robinne (tromba naturale), Rodrigo López Paz (oboe barocco) e Robin Michael (violoncello barocco), che più volte “duellano” anche con Cecilia cesellando le loro parti concertanti.
Qual è il risultato finale? Quasi due ore di assoluta perfezione ed estatico incanto, applausi a scena aperta e cinque bis reclamati a gran voce (fra cui «Santa Lucia luntana» con doveroso corollario di mandolino). In un certo senso, the best of Bartoli’s recordings, da Mission a Farinelli; il che già di per sé basterebbe a mandare in visibilio ogni melomane degno di tal nome. Ma c’è dell’altro, molto altro. L’intero programma è, sì, confezionato su misura per una cantante eccezionale ma vuole essere anche una suggestiva narrazione teatralizzata della vita di una cantante… di ogni cantante. Sempre presente sul palco, Cecilia è impegnata in continui cambi d’abito – dunque, di ruolo – rigorosamente “a vista”. Fedele aiutante in rorida vigilia, un mimo svolge al contempo le mansioni di “Don Procolo” e lacchè, devoto attendente nel camerino della diva – struttura mobile creata con i bauli della Primadonna – che, sulla sinistra del palco, modella la scenografia: Wunderkammer di ogni finzione teatrale e soglia di un fragile universo liminare in cui ogni artista può essere autenticamente sé stesso. In somma delle somme, grazie alla Bartoli e per declinazione händeliana abbiamo finalmente “lasciato la spina” delle angosce e “colto la rosa” della bellezza. La musica deve continuare a risuonare e appassionare. Così, dalla costiera amalfitana, What passion cannot music raise approderà al Festival di Salisburgo giovedì 27 agosto e a Zurigo il 1° settembre, prosecuzione di un mini-tour europeo già destinato a fare storia.
Attilio Cantore