L’equazione “Bayreuth = Wagner” è assiomatica ma rappresenta solo una faccia della medaglia della vita musicale nella cittadina dell’Alta Franconia.
Da un lato il Festspielhaus, voluto da Wagner, tempio venerato dagli adepti del credo nel Gesamtkunstwerk, dall’altro il divertissement al Markgräflichles Opernhaus (1745-1750), magnifico teatro di corte rococò del designer più alla moda del tempo, Carlo Galli Bibiena, voluto da Wilhelmine Brandeburgo-Bayreuth (sorella di Federico II) per il matrimonio della figlia Elisabeth Friedericke Sophie ma anche per allietare la corte, che non era certo la Berlino dove era nata, e anche già sede di un festival barocco che si era taciuto per i lavori di restauro conclusisi nel 2018.
E se il gran festival wagneriano 2020 è stato cancellato agli inizi della pandemia (e spostato al 2021) il Baroque Opera Festival Bayreuth, alla sua prima edizione, si è tenuto comunque e si è concluso il 13 settembre scorso riaprendo proprio il teatro di corte (oggi museo) alla sua vocazione. «Il problema è proprio questo», riflette il Direttore artistico Max Emanuel Cencic in un bilancio di questa prima esperienza: «Le visite non si possono interrompere. Infatti abbiamo avuto solo per 5 giorni il teatro a disposizione per le prove e montare le scene! Si dovrà contrattare per avere più tempo nelle prossime edizioni sia perché vorrei portare a due settimane la durata del festival come a due le opere messe in scena sia perché difficilmente altri teatri accetterebbero di collaborare con il festival con tempi così ristretti per allestimento e prove».
«Dopo questa edizione n.1, ho l’ambizione che diventi il miglior festival di opera barocca», continua Cencic: «È un festival di “opera seria”, quindi focalizzato sulla scuola napoletana. Non mancheranno incursioni nel repertorio francese né in quello veneziano come in quello amburghese di Telemann che fu spesso messo in scena nel teatro». Tra l’altro il Margravio gli commissionò due opere.
Bayreuth ha delle potenzialità: bombardata ma non sfregiata, ha la giusta intima dimensione che fa sì che incontrare i musicisti in un bar o vederli passeggiare per le strade della cittadina, non sia affatto strano, un po’ come lo era a Spoleto durante il Festival dei Due Mondi di menottiana memoria – fatti i debiti distinguo tra le bellezze artistico-
Però si è notata l’assenza del ciarliero pubblico salottiero dei festival frustrato dalla capacità estremamente ridotta del teatro per le misure di prevenzione anti-Covid: il teatro aveva una capienza di solo 200 posti
La scelta di programma, quest’ anno era caduta su Carlo il Calvo di Nicola Antonio Porpora, dramma in musica in tre atti (Roma, Teatro delle Dame, 1738).
È la storia delle lotte familiari per impossessarsi dell’eredità di Luigi il Pio che, sposatosi due volte, ha due eredi, Lotario, primo in linea di successione, e Carlo appunto, a cui favore la madre Giuditta cambia le carte in tavola che grazie all’intrigo
Regista e inteprete Max Emanuel Cencic (suo il ruolo di Lotario) immagina uno psicodramma familiare chiuso, parenti serpenti alla Ingmar Bergman, che inizia e finisce con la stessa scena: la famiglia riunita a tavola. All’inizio muore soffocandosi Luigi, alla fine Lotario: una metafora dell’inutilità della vanitas per il potere? Carlo è affetto dalla poliomielite: i discendenti sono sempre un po’ enfant gâté, spesso senza lo smalto dei genitori.
Famiglia alto borghese. Anni ’20… Cuba… Per Cencic l’abnegazione di Giuditta nel difendere l’interesse del figlio Carlo è sanguigna. Latina, addirittura, in un giardino tropicale lussureggiante, complice l’afa, lo spavaldo e prestante Asprando (body guard di Giuditta), spregiudicato amante, vero libertino, gioca la carta della seduzione mostrando i muscoli torniti al vecchio Lotario che sdegnato, lo respinge, quindi tentenna, e poi… Daddy e toy boy, insomma.
Cencic interpreta l’aria “Quando si oscura il cielo“ con grande espressività, altalenando tra tentazione inconfessabile e self-control vacillante. Vince la prima. Primo momento toccante dell’opera. Cencic ha ancora molto da dire nel canto lirico.
Un altro momento esiziale, il duetto “Dimmi che m’ami” erotico delicato amplesso tra Adalgisio (Franco Fagioli), ineguagliabile qui nel canto, musicale e melodico, in mirabile delicato e sensuale equilibrio con il ritmo dell’azione, e Gidippe (Julia Lezhneva), splendida spalla nei singulti del piacere appena trattenuti. Perfetta l’armonia con il golfo mistico: il colore orchestrale trascolora nell’intensità dei sentimenti e del segreto piacere. Momento di grande pathos. Che ci sia lo zampino del genius loci wagneriano che di duetti d’amore se ne intendeva?
Si alternano tradimenti ed intrighi, sesso ed amori, talvolta proibito l’uno ed impossibili gli altri. Il frame è la musica di Porpora che, protagonisti re e principi in lotta intestina, è spesso indulge nel nitore della fanfara. Armonia Atenea, diretta da George Petrou, anche al cembalo, rende magnifico servizio alla partitura anche se all’inizio il suono era come soffocato, quasi dovesse trovare l’equilibrio con l’acustica della sala. Suono che migliora per poi far faville. Lo splendore delle arie trova giusto riflesso nell’orchestra. Musica magnifica. Alterna arie di furore, di paragone, affetti in una girandola pirotecnica di meraviglie musicali. Un po’ noioso l’alternarsi metronomico recitativo-aria. Il caleidoscopio sonoro aiuta a far volare: più di quattro ore di musica. Durata wagneriana!
Cast omogeneo di alto profilo. Last but not least, l’ottima dizione in italiano: inutili i sottotitoli.
Franco Fagioli è all’altezza della sua fama. non ha arie dai virtuosismi funambolici: gioca la carta dell’espressività che unitamente alla sua linea di canto pulita e perfetta fa del suo personaggio un cammeo.
Gli fa da pendant Cencic (Lotario), vero animale da palcoscenico: bilioso vecchio intrigante appeso con le unghie ed i denti al potere. La Lezhneva ha una voce estremamente melodica e musicale, sicura negli acuti solidi che prende in souplesse e dal bellissimo timbro. Non gli è da meno Suzanne Jerosme (Giuditta) ugualmente espressiva nella disperazione come nel furore. Altrettanto bravi Bruno da Sé (Berardo), sopranista da tenere d’occhio, E Petr Nekoranec (Asprando) tenore dal bel timbro.
Causa Covid, solo 600 fortunati spettatori in totale. Tantissimi su Facebook dove la produzione è sbarcata. Tuttavia merita una ripresa che è già prevista nel festival 2021 insieme a Polifemo sempre di Porpora (una produzione del Festival Salisburgo).
Info: bayreuthbaroque.de/en/
Photo credits: © Bayerische Schlösserverwaltung / www.schloesser.bayern.de
Franco Soda