L’ultimo film, Il Signor Diavolo, è tratta proprio da un suo libro e riporta alle atmosfere gotiche della provincia, un horror che si insinua sotto la pelle, gelido, che riporta alla memoria de La casa dalle finestre che ridono. Pupi Avati è un narratore del disincanto, detentore di uno stile autoriale unico e, particolare da non dimenticare, sano portatore di una vocazione da musicista. Questo aspetto, un filo conduttore della sua intera filmografia, è stato analizzato in modo approfondito nel libro Pupi Avati. Sogni, incubi, visioni, in cui si racconta di questo doppio filo che lega la musica, in particolare il jazz, alle opere del regista. Ne ho parlato con l’autore, Andrea Maioli, senza trascurare Mozart, Beiderbecke e un altro grande legato ad Avati: Lucio Dalla.
Pupi Avati racconta che il suo nome ha origini “musicali”: sarebbe il soprannome dato a un violinista dai colleghi di Salisburgo. Già questo aneddoto fa capire quanto la musica sia importante nella sua opera. Come descriverebbe questa simbiosi tra il cinema e le sette note?
La presunta attribuzione del nome appartiene all’immaginario fantastico di un regista che flirta dichiaratamente con la finzione, l’invenzione, la bugia. In linea con il Fellini che sarà il suo primo motore di ispirazione. Ma è altrettanto vero che di rapporto simbiotico si tratta. Pupi Avati ha iniziato giovanissimo ad appassionarsi al jazz in una città, Bologna, che del jazz è stata la culla forse più calda in Italia. Non ha mai negato di voler diventare clarinettista in una jazz band. E a questa storia dedica appunto lo sceneggiato – all’epoca si chiamavano ancora così – Jazz Band che, alla fine degli anni Settanta, raccoglie milioni di telespettatori. Per qualche anno ci è riuscito. Finché all’orizzonte è apparso un ragazzino minuscolo dotato di un talento inimmaginabile: Lucio Dalla. E Avati si convince, suo malgrado, ad abbandonare il clarinetto per passare alla macchina da presa. Un rapporto di amore-odio, all’inizio, quello tra Avati e Dalla che, con il passare degli anni, si trasforma in una potente amicizia. Da quei giorni lontani, la musica, il jazz in particolare, ha sempre accompagnato il cammino cinematografico di Pupi Avati.
Jazz Band, per l’appunto, la cui colonna sonora è affidata a Riz Ortolani e vede Avati a regia e… clarinetto. Lei ha definito la musica “il sistema nervoso” di questa serie: quanto e come influisce sulla diegesi?
Jazz Band è fondamentale per due motivi: uno evidente, l’altro più sommerso. Il primo: ritrovare gli anni e gli amici della gioventù, pedinare quei ragazzi e quei sogni nella Bologna della metà anni Cinquanta fatta di cantine dove si sognava e suonava il jazz, popolate da personaggi bizzarri e astrusi. E fare di tutto ciò uno sceneggiato di enorme successo, impensabile prima della realizzazione. La seconda ragione, ovviamente non scollegata dalla prima, la spiega Avati nel mio libro: “è la prima volta che nel mio racconto cinematografico subentra il mio io”. Dunque è il primo vagito di quel filone autobiografico, con pesanti immissioni di fantasia, non dimentichiamolo, che tanta fortuna porterà ad Avati. E che l’io sia collegato al jazz, spiega già tutto.
Dalle musiche americane ai monoliti della classica: in Noi tre, Ortolani rielabora Mozart in modo diametralmente opposto rispetto, ad esempio, a Forman; in Bix, ecco la figura del jazzista Beiderbecke. Come vede il Pupi avati biografo (e filologo) della musica?
Un traditore. Soprattutto nel caso del giovane Mozart di Noi tre, l’Amadé che arriva a Bologna scortato dal padre, per affrontare l’esame all’Accademia Filarmonica e diventare “maestro di cappella”. Un esame che diventerà motivo di leggenda per come venne superato con l’aiuto fondamentale di padre Martini. Bene, Avati sceglie la sua via personale e antistorica, facendo di Amadé uno dei suoi giovani protagonisti soccombenti, sconfitti, irrisolti, esclusi dai cori. Per Avati, rispetto alla visione del kolossal firmato Forman, Mozart sceglie di sbagliare il compito, per poter restare a Bologna a condurre la vita normale di un ragazzo qualunque. Ipotesi fantastica, rilettura d’autore. Nel caso di Bix la fedeltà alle vicende storiche del jazzista maledetto è più riconoscibile. Mozart e Bix sono due figure seminali per Avati: “Entrambi i personaggi li ho incontrati nella loro giovinezza. Per Mozart era l’ultima possibilità di diventare una persona normale e sfuggire al suo destino di genio. La giovinezza di Bix, invece, è più inquieta. Prelude alla morte”.
Una profonda amicizia ha legato Pupi Avati a Lucio Dalla, che ha realizzato anche sue colonne sonore. Come descriverebbe questa influenza reciproca?
Uno di quei rapporti straordinari che si nutrono di sangue, sudore, risate e lacrime. Quando Avati capisce che nulla può contro il talento di Dalla, durante un tour in Spagna, cerca di buttare Lucio giù dalla Sagrada Familia. Un aneddoto frutto della fantasia (anche se la volontà c’era stata) che diventa realtà nel momento in cui Avati e Dalla vedono che il racconto avvince gli ascoltatori. Il regista definirà il musicista “uno dei pochissimi autentici poeti che ho conosciuto. Perché in lui la qualità della scrittura e la musica e la vita stessa si fondevano in un’armonia che si trova una volta nella vita”. Dalla verrà chiamato a comporre due colonne sonore da Avati: Gli amici del Bar Margherita e Il cuore grande delle ragazze. E apparirà come attore ne La mazurka del barone…
Ne Il cuore altrove si cita Coleman Hawkins, secondo Avati (e non solo) il più grande sax tenore di tutti i tempi. Quali sono i momenti indimenticabili nella filmografia di Avati, magari spesso trascurati o non centrali in un film?
In un viaggio composto da 40 film e tante produzioni televisive, è difficile isolare poche cose. Dei flash, delle visioni: le scale buie ne La casa dalle finestre che ridono, i paesaggi del Delta del Po ne Le strelle nel fosso, lo sguardo carico di terrore di un adulto che torna bambino nell’ultimo film Il Signor Diavolo, quelle figure avvolte nella nebbia che attraversano l’Appennino in Una gita scolastica, la morte di Gianni Cavina ne La via degli angeli, il gioco al massacro attorno al tavolo da poker di Regalo di Natale, una Festa di laurea che naufraga miseramente…
Se dovesse scegliere, qual’è secondo lei la musica, il tema, che meglio rappresenta Pupi Avati?
Avati ha due musicisti di riferimento: nella prima parte della carriera Amedeo Tommasi, poi Riz Ortolani che diventerà per lui quello che Morricone è stato per Leone. Forse il tema di Una gita scolastica, ma più probabilmente i fruscii del vento nei boschi antichi.
Immagine di copertina Ph. Cineteca di Bologna