In Italia cambiano i governi ma l’indifferenza della classe politica verso il mondo della musica e dell’opera non muta. Anzi.
In fatto di cultura, se il centro sinistra ha perso le parole, il centro destra non le trova. Il sistema produttivo culturale e creativo, secondo uno studio di Fondazione Symbola e Unioncamere, genera oltre 92 miliardi di euro. Ma nel budget statale la spesa per questo settore si aggira intorno allo 0,20 del bilancio complessivo. La politica italiana, in altre parole, ignora il mondo dei teatri.
Il confronto con gli altri Paesi
In Germania arriva al 2 percento (va detto che il peso maggiore ricade sui Länder). Se proviamo a “personalizzare” la questione, ne usciamo con le ossa rotte. Il presidente della Repubblica francese Macron è un appassionato di Rossini e suona il pianoforte. Angela Merkel va regolarmente nel tempio wagneriano di Bayreuth; a Salisburgo segue anche le prove, entrando in sala senza scorta.
Putin non crede solo nelle forze armate ma nella forza dell’arte; sostiene e aiuta i suoi due amici, Anna Netrebko e il direttore Valery Gergiev. Il suo collega di bacchetta Antonio Pappano dice che alla Royal Opera House di Londra il principe Carlo (che gli ha chiesto di dirigere in autunno a Buckingham Palace per i suoi 70 anni) si adopera molto nella raccolta fondi per i più bisognosi.
E in Italia? La politica è assente
Nel suo primo discorso al Senato, di un’ora e un quarto, il premier Conte ha speso per la cultura due parole, troppo generiche per essere vere. Ha dichiarato che si batterà per la «conservazione, valorizzazione e fruizione» dei beni artistici. Si è definito l’avvocato di tutti gli italiani, ma per ora non difende la cultura.
Il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli nella sua prima intervista non ha nemmeno menzionato le Fondazioni lirico-sinfoniche, che rappresentano il nostro dna culturale. Riccardo Muti dice che se siamo conosciuti nel mondo è per l’opera; aggiunge che i suoi pluridecennali appelli a favore della musica (per un maggiore impegno didattico, per l’apertura di orchestra e di teatri storici chiusi) sono caduti pressoché nel vuoto.
L’indifferenza della classe politica alla Grande Bellezza italiana non è solo cronaca di questi giorni. Basti pensare che ai concerti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, fiore all’occhiello della musica sinfonica, a parte Ciampi, Napolitano e Gianni Letta (neopresidente della Fondazione Rossini), talvolta Carlo Padoan e l’onorevole Zanda, si ricordano pochi altri politici. Ci si limita all’atto di presenza istituzionale alla prima di stagione del Teatro alla Scala.
Scelte discutibili
Al Regio di Torino, che è stato un teatro importante negli ultimi decenni, il neosovrintendente William Graziosi nominato dai Cinque Stelle spinge su scelte ritenute apparentemente facili. All’Arena di Verona la Lega impose un ex perito agrario; ora averne affidato le redini a Cecilia Gasdia ha prodotto il colpo del debutto di Anna Netrebko per la prossima estate.
Allargando la lente in altri campi, Paolo Taviani ha da poco perso suo fratello Vittorio, con cui ha condiviso ogni fotogramma della sua vita al cinema. Le Monde e Le Figaro gli hanno chiesto se continuerà a fare film, ora che è da solo. La risposta del regista, riportata a tutta pagina, è: «Mi dimetterò dal cinema quando il mio paese risorgerà dalle macerie».
Il ministro dell’Economia francese Bruno La Maire ha scritto il romanzo Musica assoluta. Prova d’orchestra con Carlos Kleiber, dedicandolo al grande direttore che lavorava per sottrazione, e nella sua vita interpretò appena 12 opere, sempre quelle, nella affascinante nostalgia di una perfezione che non esiste. Viva l’Italia, povera Italia.
Valerio Cappelli